
Otto operai cinesi sfruttati, tutti di una stessa azienda di Prato, collaborano con la giustizia per accusare gli imprenditori che li sfruttavano. Una novità nel panorama del distretto pratese, che deriva con tutta probabilità dell’appello del procuratore di Prato Luca Tescaroli sul percorso di regolarizzazione protetto che si garantisce loro dopo la collaborazione. Dopo l’arresto dei titolari, la ditta è stata sequestrata nelle ultime ore.
La procura di Prato ha disposto il sequestro preventivo “in via d’urgenza” dell’impresa “Arte Stampa s.r.l.”, una stamperia di tessuti per abiti da donna gestita da imprenditori cinesi. La stessa dove la notte fra il 25 e il 26 gennaio scorsi un operaio orientale era stato accoltellato da un collega. La vittima si salvò per miracolo dopo un lunghissimo intervento chirurgico e cominciò – appena ripreso – a collaborare con la giustizia per individuare le condizioni di sfruttamento a cui erano sottoposti lui e i suoi colleghi.
Il vero elemento di discontinuità è costituito proprio dal fatto che – assieme a lui – altri sette operai originari del Paese del Dragone hanno descritto le caratteristiche del lavoro in condizioni estreme: turni di almeno dodici ore, sette giorni su sette, con retribuzione non congrua (una piccola parte con bonifico e parte più consistente in contanti) e condizioni igienico sanitarie precarie, con un gruppo di lavoratori costretti a dormire sul luogo di lavoro.
Le volontà di collaborare per individuare le responsabilità degli imprenditori connazionali si debbono con tutta probabilità agli effetti dell’appello del procuratore di Prato Luca Tescaroli, che lo scorso 5 febbraio si era rivolto direttamente agli operai: “La legge – aveva detto – consente di ottenere il permesso di soggiorno per motivi di giustizia, che comprende un programma di reinserimento sociale volto a garantire la stabile permanenza in Italia”. Parole che evidentemente hanno stimolato i testimoni del proprio sfruttamento a denunciare.