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Suicidio in carcere a Pisa, il 19esimo in Italia dall’inizio dell’anno. Questa volta è accaduto al Don Bosco di Pisa, dove un uomo di 64 che godeva del regime di semilibertà e che avrebbe finito di scontare la pena nel 2027, si è tolto la vita dopo essere tornato in carcere dal lavoro. Per il garante regionale dei detenuti Giuseppe Fanfani è “colpa di scelte politiche precise”. Il servizio di Raffaele Palumbo.
La situazione nelle carceri italiane è ormai fuori controllo. E’ lo stesso garante dei detenuti della Regione Toscana a dire “credo che l’irrigidimento delle politiche carcerarie, con l’inasprimento delle pene, abbia pesato non poco in tutto quello che sta accadendo”. E’ una vera e propria strage silenziosa. L’ultimo a Pisa. E’ successo addirittura ad un detenuto in regime di semilibertà, che ha aspettato di tornare in carcere dal lavoro per togliersi la vita nel cortile del Don Bosco. Scontri con la Polizia penitenziaria alla Dogaia di Prato e a Sollicciano, dove negli ultimi due anni i suicidi sono stati sei, l’ultimo questa estate. Ed è proprio su Sollicciano che si concentra l’attenzione, dove il sovraffollamento e il degrado regnano sovrani. Simili “condizioni inumane e degradanti” sono state riconosciute riconosciute dall’amministrazione penitenziaria, che non ha opposto ricorso alle ordinanze di sconto pena. Proprio questo ha indotto “L’altrodiritto” ad avviare una ricognizione collettiva tra i detenuti – si parla di 2/300 reclusi – per approntare, se non una “class action” (non praticabile in questa sede), una mole di ricorsi individuali tale da fare “massa critica”. E non più solo per ottenere uno sconto, ma puntare ad un obiettivo diverso e più significativo dal punto di vista giuridico: il riconoscimento di reato di tortura e quindi un’ordinanza che imponga il trasferimento dei detenuti dal carcere.