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Firenze: 10 anni fa la strage di piazza Dalmazia

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Firenze: 10 anni fa la strage di piazza Dalmazia
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Per non dimenticare. E per costruire una nuova città, che si basi sull’accoglienza e la comprensione reciproca. A 10 anni dall’omicidio di Samb Modu  e Mor Diop, questa mattina in Piazza Dalmazia la cerimonia ufficiale con i gonfaloni della città di Firenze e della Regione Toscana per dire: mai più.

Dieci anni fa Firenze, in piazza Dalmazia,  in un’anonima mattina di dicembre, perdeva la sua verginità e si scopriva permeabile al razzismo. Quello violento. Quello che uccide. Quello che ha armato la mano del killer razzifascista Gianluca Casseri, poi suicidatosi, così raccontano le cronache, nel parcheggio sotterraneo del mercato di San Lorenzo, dopo aver tentato anche lì di uccidere altri ‘neri’, senza per fortuna riuscirci.

“C’è un prima e un dopo di quella  data” ha detto oggi intervenendo in piazza il consigliere regionale Andrea Vannucci (PD). Ci fu, c’è stato un prima e un dopo per tutti noi.

E il dopo immediato fu quella splendida manifestazione in cui Firenze si unì al dolore della comunità senegalese, partecipando al lutto.

Sono passati dieci anni e molto è stato fatto, come ha ricordato l’assessora al welfare Sara Funaro. Il lavoro nelle scuole, l’impegno per una città più accogliente. Ma tanto c’è da fare. Come dimostra l’altro omicidio razzista della storia recente  di questa città, quello di Idy Diene, qualche anno dopo la strage di Piazza Dalmazia.

Razzismo che uccide, e prima ancora, razzismo che odia, anche grazie ad una tolleranza verso linguaggi e gesti discriminatori, spesso violenti, che vengono banalizzati e lasciati passare, come qualcosa di folkloristico. Mentre sono il viatico che poi conduce, alla fine, nel tunnel dell’odio che sfocia in piazza Dalmazia.

In piazza oggi anche il console del Senegal Seynabou Badiane, il presidente della comunità senegalese, Mamadou Sal, l’imam Izzedin Ezir, il presidente della comunità ebraica, Enrico Fink.

Un modo per dire che la strage di piazza Dalmazia ha aperto una ferita che ancora sanguina, ma che in molti stanno cercando di curare. Innanzitutto attraverso la conoscenza reciproca e la capacità di capire le ragioni dell’altro.