Dom 22 Dic 2024
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ToscanaCronacaViolenza sulle donne: smettiamola di essere in-difesa. Passiamo all'attacco

Violenza sulle donne: smettiamola di essere in-difesa. Passiamo all’attacco

La violenza contro le donne e i loro figli, la cultura machista e la via dell’abuso per mettere a tacere autonomie e dignità sono il nuovo autoritarismo di questa società. Occorre fare nascere una Resistenza civile e negli organismi che costituiscono il sistema di presa in carico e dell’informazione. Occorre scegliere da che parte stare, come esseri umani e professionisti.

Aumentano le denunce, se ne parla di più, le piazze si riempiono e le reti si fortificano. Ma non basta, anzi sembra quasi che ormai la violenza sulle donne e i loro figli sia diventata inarrestabile. Non ci sto ma sono piena di rabbia e sgomento. E piena di interrogativi su cosa sia più incisivo per arginare questo stillicidio.

Nessuno mi farà ricredere sul fatto che  l’educazione dei giovani al rispetto dell’altro (uomo o donna) sia il miglior anticorpo, ma gli uomi di oggi chi li ferma? mi appello a tutti i soggetti preposti nell’ambito della sicurezza, della giustizia, dell’assistenza sociale: siate un passo avanti agli iter, alla prassi, alle procedura, siate un passo più vicino alle donne.

Guardandovi allo specchio dovete vedere non voi stessi ma quelle donne che hanno chiesto aiuto, hanno avuto fiducia nel sistema e non devono essere deluse. Ne va della loro vita e di quella dei loro bimbi. E dovete vedere riflesse anche quelle donne che sono ancora in silenzio e ascoltando la cronaca si convincono ancora di più a non dire basta. Per paura del dopo.

Se la politica sta attraversando uno dei periodi più bui per l’autodeterminazione delle donne, la tutela dei minori, la difesa della dignità umana e il sostegno ai centri antiviolenza, non vuol dire che dobbiamo perdere lucidità. Le piazze sono importanti ma le aule di tribunale, i commissariati, le stanze degli assistenti sociali ancora di più. Sentite questa responsabilità prima ancora che come autorità ed operatori, come cittadini di un Paese (e non solo il nostro) che non crede alle donne, che per abusi, stupri o maltrattamenti prima punta il dito sulla vittima e poi (forse) punisce l’aggressore.

E anche noi giornalisti/e smettiamola di rincorrere ricostruzioni che strizzano l’occhio alle cronache pruriginose. “I futili motivi, la banale lite, il ci sono scappati insulti, la motivazione passionale, i raptus e la gelosia, il non sostenere la situazione, il sentirsi sottostimato come uomo, il non accettare il tradimento”… niente di questo è più ammissibile come linguaggio e resoconto delle violenze. Non prestiamo il fianco ad una deriva sociale che anche noi abbiamo il dovere di arginare per ricostruire una narrazione che (anche questa) renda giustizia, a chi uscendo dall’ombra è preda non solo di maltrattamenti fisici e psicologici ma anche sociali e pubblici. E vive da sopravvissuta (per quanto?) tutti i giorni.

Chiara Brilli