Ora 9.45 del 20 gennaio 2020, alla casa della Cultura di San Miniato Basso, Pisa, va in scena quello che non ti aspetti: una riedizione delle campagne elettorali di qualche lustro fa. Forse non proprio Prima Repubblica, no, ma di certo qualcosa che non vedevamo ( e non sentivamo) da anni.
La sala che ricorda una vecchia balera, scenografia scarna , pubblico casual lontano anni luce dal galmour in stile Leopoldino cui il PD ci aveva ultimamente abituato, luci effetto neon, sedie di plastica non griffata, il caldo della calca che si ammassa per ascoltare. Manca il fumo, perchĂ© oggi le leggi lo vietano, ma se non ci pensi abbastanza puoi immaginare di essere ripiombato nel 1992 o giĂą di lì. Niente effetti speciali, un proiettore che viene rinominato maxischermo con uno slancio di generositĂ , microfoni gracchianti, il chiacchiericcio in sala, il video che non parte, la colonna sonora che rimane in sottofondo, le generose pacche sulle spalle di chi fatica nella politica da anni. Tra il pubblico qualche volto noto, tanti capelli grigi, amministratori di ogni risma, le sempiterne seconde linee rimaste tali perchĂ© non hanno mai saputo o probabilmente voluto azzardare un passo in piĂą, mestieranti dell’amministrazione reduci dal lavoro quotidiano. Zingaretti ha mandato il giovane Furfaro, Nardella la sua vice (Cristina Giachi), Renzi invece il fido Bonifazi.
Sul palco un uomo di mezza etĂ , provato da una giornata vissuta sotto i riflettori, ma non vinto, che snocciola un’ora di intervento monotonico, senza sussulti, pacato, argomentato, in alcuni passaggi dotto, molto concreto, con continui rimandi alla vita reale. Un discorso d’altri tempi, infarcito di considerazioni sulle tecniche dell’amministrazione e della legiferazione, sulla conoscenza del territorio in tutti i suoi anfratti piĂą reconditi, senza fronzoli e senza particolari slanci. Un discorso da ragioniere della politica piĂą che da leader carismatico. Il richiamo quasi ossessivo alla squadra, al noi, la correttezza formale e sostanziale, nessuna offesa nĂ© per gli avversari nè vezzeggiamenti per gli amici. Niente battute ad effetto, nessun ammiccamento al pubblico, nessun saliscendi retorico: solo un sobrio, argomentato, elenco di problemi e di possibili soluzioni. Certo, non esaustivo, non del tutto convincente, ma dannatamente, banalmente concreto.
Lontano dal set televisivo costruito per lui dai guru della comunicazione ai piedi della torre di Federico sferzata dalla tramontana, Giani si mostra per quel che è: un uomo che ha costruito la sua carriera politica sulle capacitĂ amministrative e sulla perseveranza. Dopo anni di ‘non ora’, si è preso la sua chance e non la molla. con la tenacia di sempre. Abituato ad incassare, e ad uscire continuamente dall’angolo.Â
Se l’è presa semplicemente perchĂ© l’ha voluta e ci ha creduto piĂą di altri. Sopravvivendo all’endorsement di un Renzi giĂ Â sulla strada di abbandonare il Pd, alle tumultuose riunioni, alle telefonate segrete, ai patti indicibili, ai caminetti, alle tentazioni degli avventurieri. Nei mesi trascorsi da giugno ad ora, il suo nome si è via via rinforzato anche e soprattutto grazie ai veti incrociati dei possibili concorrenti. Giani c’era. Come c’è sempre stato. Ed essendoci all’inizio come alla fine, alla fine la scelta di un partito alla prese con problemi piĂą grandi è caduta su di lui. Un ‘gentiluomo’ della politica, dai modi cortesi, preparato, senza particolari guizzi, piacente ma non piacione, convinto delle sue idee al punto tale che non sembra ossessionato dall’idea e dalla missione di convincere per forza anche te. E che alla fine l’ha sputata.
Nella prima Repubblica i politici in gran parte si comportavano così. Alcuni di loro erano davvero così. Oggi una cosa del genere risulta straniante. Un improvviso salto spaziotemporale verso qualcosa che non c’è piĂą. O che non c’è ancora. Tutto questo sarĂ produttivo in termini elettorali? BasterĂ per battere la destra asservita ai toni slabbrati delle piazze salviniane e convincere la sinistra attratta dallo scanzonato giovanilismo delle Sardine? E’ di questo che ha veramente bisogno la gente? Di competenza, di lavoro, della ‘fatica, del sudore delle carte, del lavorio politico quasi artigiano?
Nell’epoca dei selfie compulsivi e dell’estetica social, in cui le questioni etiche si risolvono a colpi di post e di hastag, l”uomostraordinariamentenormale’ Eugenio Giani riuscirĂ a sopravvivere alla campagna elettorale indenne? RiuscirĂ a spuntarla? La gente, quella con la G maiuscola, vuole questo?
Presto per dirlo. Intanto ci godiamo la novità . Che poi tanto nuova non è. E forse è anche bene così.
DOMENICO GUARINO