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Gli investimenti in Toscana: 1,4 miliardi di valore nel 2020. Il bilancio di “Invest in Tuscany”

Negli ultimi cinque anni, dal 2016 al 2020, sono state registrate in Toscana centouno operazioni di investimento diretto estero che hanno generato oltre 7500 posti di lavoro. Il capitale investito ha superato i 2,8 miliardi di euro.

Numeri che fanno della regione – secondo la banca dati Orbis Cross Border Investment di Bureau van Dijk – la quarta in Italia per numero di ‘greenfield’, ovvero nuovi stabilimenti e filiali, preceduta da Lombardia, Lazio e Veneto e seguita dal Piemonte. I progetti intercettati dalla Toscana hanno però una dimensione maggiore di quelli ‘catturati’ dalle altre regione della top 5. Con spese in conto capitale medie di oltre 28 milioni (il doppio della Lombardia) e con 74 posti di lavoro generati dal singolo progetto, la Toscana si colloca infatti sul podio più alto tra le concorrenti. In termini di valore assoluto è seconda, preceduta dalla Lombardia che, soprattutto grazie alla città di Milano, intercetta oltre il 30 per cento degli investimenti in Italia.

Delle centouno operazioni, il retail (ovvero le vendite al dettagli) rappresenta quasi un terzo del totale (28%), seguito dall’hotellerie (16%) e dal settore manifatturiero (15%). La Francia è di gran lunga la nazione di origine degli investimenti con oltre il 30 per cento delle operazioni, seguita dagli Stati Uniti d’America (18%) e dal Regno Unito (12%).

La Toscana è sicuramente una regione dove le multinazionali già operano da tempo, ma che ha saputo attrarne anche di nuove: 785 società che fanno capo a 573 gruppi è il conto più aggiornato. Il 59 per cento fa capo all’Unione europea, il 17 per cento all’America settentrionale e il 9 per cento all’Asia orientale. Per settori il 29 per cento appartiene al manifatturiero e il 20 per cento al commercio all’ingrosso. In totale – il dato si riferisce a fine 2018 – le società a controllo estero generano in Toscana quasi 28 miliardi di euro di fatturato ed impiegano circa 62 mila addetti. Se si contano le società, il primo Paese investitore erano a fine 2018 gli Stati Uniti d’America (144 imprese che fanno capo a 105 diversi gruppi)), seguiti dalla Francia (130 per 62 gruppi) e dal Regno Unito (73 per 57 gruppi).

Quanto a fatturato è invece la Francia a primeggiare con oltre 9 miliardi di euro complessivi, seguita dagli Stati Uniti (quasi 4 miliardi). La Francia guida anche la classifica degli addetti, con oltre 20 mila, precedendo di nuovo gli Stati Uniti (oltre ottomila). La Germania è quarta per società (72), quinta per fatturato (poco più di 1 miliardo e 736 milioni, un’ottantina meno del Regno Unito scavalcato a sua volta dalla Svizzera) e terza per dipendenti (oltre seimila).

“Invest in Tuscany”, ‘sportello’ che fa capo direttamente alla presidenza della Regione e che da dieci anni prende e conduce di fatto per mano le aziende che vogliono investire in Toscana, ha appena tirato una riga sotto al 2020. Il dato è il frutto, come accade dal 2016, di un’elaborazione propria, che mette insieme fonti statistiche e notizie uscite sui media, e il segno (sia pur in contrazione) è incoraggiante: soprattutto in prospettiva, perché significa che c’è chi scommette sulla ripartenza; ed è incoraggiante perché di un anno particolare come il 2020 si tratta, dove l’emergenza sanitaria e le misure restrittive imposte per arginare il contagio hanno ridotto gli scambi commerciali mondiali e dunque rallentato gli ingranaggi dell’economia.

Il 2020 si è chiuso alla fine in Toscana con 69 investimenti per un valore complessivo di circa 1,4 miliardi: un dato forse sottostimato, visto che nelle operazioni di acquisizione, ad esempio, di rado viene reso noto il valore della compravendita. E su sessantanove investimenti, italiani ed esteri in parti pressoché uguali, nel 58 per cento dei casi di operazioni di acquisizioni si parla, seguiti a ruota da espansioni di aziende che già esistono (26 per cento) e per il 16 per cento da nuovi stabilimenti e filiali, quelli che gli addetti ai lavori indicano solitamente e in gergo come investimenti ‘greenfield’.

Firenze intercetta quasi la metà delle operazioni, il 48 per cento per la precisione. Dopo ci sono Pisa (14%), Arezzo (9%) e Siena (7%). Spicca decisamente il mondo della moda, con diciassette operazioni. Qualche esempio: il marchio Balenciaga ha annunciato la realizzazione a Cerreto Guidi di un nuovo stabilimento, Furla ha quasi completato il suo nuovo investimento a Barberino Tavarnelle, Fendi ha iniziato i lavori a Bagno a Ripoli (dove rafforzerà la propria presenza), Yves Saint Laurent sta investendo a Scandicci.
Dopo la moda ci sono il turismo e il real estate privato, che chiudono l’anno con sette operazioni a testa: dall’espansione di Villa Saletta, tanto per citare alcuni casi, alla vendita dell’ex clinica Santa Chiara a Firenze per la realizzazione di uno studentato, dalla concessione per cinque anni del complesso, sempre a Firenze, di Sant’Orsola fino all’avvio dei lavori per la realizzazione a Pomaia del più grande monastero buddista d’Europa. Importante è stato anche il contributo della farmaceutica: un esempio su tutti è il nuovo stabilimento della Menarini nell’area ex Longinotti a Firenze. Ma altrettanto importanti sul fronte straniero le espansioni di GSK a Siena e Takeda a Pisa. E poi, non meno rilevante, c’è stato il rilancio della Magona a Piombino da parte del gruppo Liberty Steel.

Tra gli investimenti stranieri la bandiera predominante è stata nel 2020 quella francese (con dieci operazioni) seguita dal Regno Unito (con sette). L’anno appena chiuso si è contraddistinto inoltre, sul fronte “Italia verso Toscana”, per un aumento delle operazioni di ‘private equity’, ovvero di fondi azionari privati: sono state tantissime, hanno riguardato per lo più progetti di aggregazioni di medie imprese (di nuovo, principalmente, nel comparto moda) e non appaiono come tesi ad una mera resa finanziaria.

“Da questo punto di vista – commenta il presidente della Toscana, Eugenio Giani – come Regione non abbiamo pregiudiziali sull’intervento dei fondi di investimento, laddove attivino operazioni di investimento industriale, senza azioni rapaci sui marchi o sui lavoratori o interventi concentrati sul solo ritorno finanziario dall’investimento”. “Diversamente – chiarisce – se la logica fosse di estrazione di valore dal territorio, magari a scapito dell’occupazione o del costo del lavoro, allora la sponda non potrebbe che divenire un muro respingente”.

“Attrarre investimenti in Toscana, di multinazionali estere o di aziende italiane – prosegue il presidente – vuol dire infatti per noi creare un effetto volano che porta dietro di sé l’indotto e il tessuto delle nostre piccole e medie imprese, che costituiscono il 95 per cento delle aziende della regione. Le multinazionali cercano tempi sicuri e percorsi amministrativi certi: è quello che con la struttura “Invest in Tuscany”, che proseguirà la sua attività, in Toscana si è cercato di fare negli ultimi dieci anni: aiutando le aziende a districarsi nella burocrazia ma senza mai perdere di vista la qualità degli investimenti e la loro sostenibilità (anche ambientale), ricercando gli investimenti più conformi alle vocazioni del territorio e costruendo relazioni con gli attori economici e le università che già vi operano”. Tant’è, lo ha ripetuto di recente a dicembre il sottosegretario Manzella, che “Invest in Tuscany” è diventato uno dei modelli nazionali più virtuosi a cui si guarda in Italia per esportarlo in Regioni che ancora non hanno una strategia sugli investimenti.

Certo la contrazione degli investimenti complessivi nel 2020 c’è stata ed è’ innegabile. Per alcuni aspetti si tratta di un vero e proprio dimezzamento. Gli anni record toscani rimangono il il 2019 (108 operazioni per circa due miliardi e 800 milioni di euro di investimenti, il 44 per cento esteri) e il 2016 (67 investimenti, sempre per 2,8 miliardi). Rispetto al 2019 l’anno appena concluso segna un contrazione di poco superiore ad un terzo (36%) sulle operazioni e del 48 per cento sulle spese in conto capitale stimate. Il fatto che la Toscana sia stata comunque capace di continuare ad attrarre investimenti (e dunque aziende che intendono scommettere sulla sua economia) lascia ben sperare per il futuro.

 

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