L’Assobioplastiche ha diramato una nota in cui puntualizza i risultati dello studio di Università di Pisa: “studio tratta della disintegrazione di sacchi interrati manualmente nel sedimento”.
Lo studio dell’università di Pisa sui bioshopper non riguarda la biodegrabilità di questi sacchetti, quindi “conclusioni sulla biodegradabilità non possono essere dedotte”. Lo precisa in una nota Assobioplastiche, Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili.
La ricerca dell’ateneo pisano, aggiunge, “tratta invece della disintegrazione fisica di sacchi che, sulla base di uno schema sperimentale adottato dai ricercatori pisani, sono stati interrati manualmente nel sedimento. Sono state così create condizioni artificiose di cui deve essere tenuto debito conto nella valutazione dei risultati, sia di degradazione che di interazione con le alghe studiate”.
Quindi “saranno necessari ulteriori studi per giungere a conclusioni scientificamente più robuste”. Assobioplastiche sottolinea che questo non significa che le plastiche biodegradabili “spariscano” magicamente a contatto con il mare. E’ anche ovvio, aggiunge, “che si possano creare delle interazioni tra un materiale solido (sia esso di plastica biodegradabile o di tessuto, come il cotone, o anche semplicemente una foglia) e l’ecosistema circostante. La posizione dell’industria delle bioplastiche a tal punto è chiara: tutti i rifiuti devono essere raccolti mediante la raccolta differenziata e recuperati. Il rilascio incontrollato in ambienti naturali non è una opzione, neppure per i rifiuti biodegradabili”.
Le plastiche biodegradabili, in particolare – continua l’associazione – devono essere recuperate mediante riciclo organico. Vero è che, per alcune plastiche biodegradabili, si stanno già evidenziando dimostrazioni di biodegradazione sostanziale in ambiente marino, molto più veloci delle plastiche convenzionali che, purtroppo, non sono state incluse come riferimento nello studio di Pisa”.