La morte, secondo i familiari, potrebbe essere legata ad una sostanza irritante che il soldato segnalò di avere inalato, nell’aprile del 2011 a Firenze, durante i lavori di rimozione di materiale vario immagazzinato nella caserma “Predieri”, comando dell’Eurofor.
La famiglia di un militare gelese, il caporal maggiore Giovanni Cosca, 28 anni, deceduto la scorsa settimana dopo 7 anni di viaggi della speranza tra caserme, cliniche e ospedali, ha deciso di citare in giudizio l’esercito italiano sostenendo che il giovane sarebbe morto per cause di servizio. La morte, a loro dire, potrebbe essere legata ad una sostanza irritante (una polvere mai classificata) che il soldato, arruolato nel 2010, segnalò di avere inalato, nell’aprile del 2011 a Firenze, durante i lavori di rimozione di materiale vario immagazzinato nella caserma “Predieri”, comando dell’Eurofor.
Il giovane accusò subito “reazioni cutanee e congiuntivite, dolenzìa muscolare diffusa e dispnea” e da quel momento non ebbe più pace. La prima fase acuta si manifestò dopo il suo trasferimento a Rimini. Ma i medici non riuscirono a diagnosticare alcuna patologia. Fu l’istituto nazionale di ricerca neurologica “Mondino” di Pavia a formulare per primo una diagnosi: “vasculite del sistema nervoso centrale”, ovvero l’infiammazione dei vasi sanguigni, ma senza indicarne la causa. Tuttavia la diagnosi non venne confermata dall’arciospedale “Santa Maria Nuova” di Reggio Emilia.
Nel 2015 il soldato chiese, tramite il suo comando (121esimo reggimento artiglieria “Ravenna”), il riconoscimento della causa di servizio e l”equo indennizzo. Solo tre mesi fa, però, l”esercito ha risposto alla richiesta e ha deciso di esaminare la documentazione clinica del militare, ormai disabile. I familiari del soldato attendono ancora il responso. L’infezione causò al paziente, durante un ricovero all’istituto neurologico “Carlo Besta” di Milano nell’aprile del 2016, l’arresto respiratorio. Cosca perse le capacità di deambulare, di respirare e di deglutire. Venne sottoposto a tracheotomia, Peg e a una terapia che in Sicilia nessun ospedale si dice in grado di garantire. Cosca andò a Como nel centro di riabilitazione “Villa Beretta”. Poi tornò al “Besta”, quindi di nuovo a Como e successivamente al “Mondino”. Tutte le spese sono state sostenute dalla famiglia, in cui lavora solo il padre, Franco, dipendente comunale. Intanto il militare ha terminato il periodo di “ferma” da 4 anni e ha perso anche lo stipendio.
Le condizioni di Cosca si sono progressivamente aggravate fino a rendere necessario, il 17 dicembre scorso il ricovero in Rianimazione nell’ospedale di Gela, dove è morto il 30 gennaio.