Mar 26 Nov 2024
Controradio Streaming
Cultura & SpettacoloArteGoodbye Shopper. La mostra di Quinquemanus

Goodbye Shopper. La mostra di Quinquemanus

Goodbye Shopper opere di Quinquemanus (Alessandra Cinquemani) a cura di Serena Becagli. Inaugurazione venerdì 21 settembre ore 20.00 Rrose Sélavy. (Via San Gallo 111-113r – Firenze) La mostra è visibile fino al 20 ottobre in orario di negozio

Alessandra Cinquemani è una fotografa fiorentina che quando crea senza usare la macchina fotografica si presenta con lo pseudonimo Quinquemanus. Le opere esposte negli spazi di Rrose Sélavy per la mostra Goodbye Shopper nascono da ricordi e da alcune riflessioni su un modo di vivere che sta cambiando.

L’idea di lavorare sulle buste di plastica inizia con il ritrovamento, nell’armadio della cantina del nonno, di una grande quantità di sacchetti di plastica, quasi tutti ripiegati in modo maniacale fino a formare dei piccoli triangoli. All’artista sono tornate subito alla mente le immagini di quando era piccola e il nonno aveva come consuetudine quella di uscire di casa portando sempre con sé un sacchetto di plastica piegato nel portafoglio. Viene da pensare agli anni del boom economico, e poi alla nascita dei primi supermercati, all’abbondanza di prodotti e di merci che i nostri nonni, reduci da una o due guerre mondiali, avranno visto come un paradiso finalmente sceso sulla terra.

Se Andy Warhol e la Pop Art negli anni sessanta celebravano i prodotti dell’industria elevandoli a icona e riproducendoli in serie, il processo che fa Alessandra è quello di prendere l’oggetto, in questo caso la busta di plastica, e sottoporlo a un passaggio, a un trattamento facendo diventare il prodotto seriale di massa un pezzo unico. Quell’oggetto, estrapolato dal mondo del già fatto, non solo subisce uno spostamento diventando opera d’arte, ma anche un’elaborazione: esteticamente, più che alle scatole Brillo di Andy Warhol viene da pensare alle prime opere di Claes Oldenburg, in cui le sgocciolature e le imperfezioni New-Dada rivelavano ancora un tocco di affezione e di pathos da parte dell’artista.

Alessandra, oltre a prelevare dall’armadio i ricordi del nonno, inizia a fare ricerca, a collezionare, a chiedere agli amici come souvenir da un viaggio una semplice busta di plastica. Sulle pareti del suo studio iniziano così ad apparire i loghi dei diversi supermercati della zona, la busta di un negozio libanese, o di una rinomata cioccolateria russa, il logo di un famoso brand, la busta anonima di un mercato rionale.

Ricordi, viaggi, storie, non solo la superficie delle cose. La busta, epidermide per eccellenza, apparenza – involucro che cela il contenuto ma che a volte lo esalta rivelando uno status – viene svuotata, schiacciata, fermata sulla tela. Il logo, la grafica, i colori, emblemi di un apparire, diventano anche memoria, affetto, nostalgia. Un giocoso rincorrersi di terre lontane che s’incontrano in questa sequenza di tele, in un’epoca in cui le buste di plastica vanno a sparire (ormai sono tutte biodegradabili), ma restano qui sulle pareti come testimonianza viva di storie vissute. Alessandra recupera e rielabora questa ossessione familiare per le buste e riflette su quegli oggetti che resteranno, si spera, solo nella memoria o attaccati lì su una delle sue tele, e non dispersi per terra e per mare a inquinare il nostro pianeta.

Il tentativo dell’artista è quello di fermare qualcosa prima che sparisca, in un mondo in cui tutto si deteriora e si scorda velocemente, in cui gli oggetti, gli affetti e i ricordi stanno diventando sempre più volatili.

 

Rock Contest 2023 | La Finale

Sopravvissute, storie e testimonianza di chi decide di volercela fare (come e con quali strumenti)