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Aldo Moro, il giorno del sequestro 40 anni dopo

Aldo Moro

La riflessione del Segretario del Partito socialista italiano, Riccardo Nencini. Il partito che ai tempi invocò, inascoltato, la trattativa con le Brigate Rosse. Intervista a cura di Raffaele Palumbo

Il sequestro del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo 1978 ad opera delle Brigate Rosse segna il punto più alto della Strategia della tensione e degli Anni di piombo. Dopo 55 tremendi giorni, il cadavere dello statista verrà fatto ritrovare nel bagagliaio di un’auto.

Aldo Moro aveva tentato di salvare gli uomini della sua scorta chiedendone il trasferimento. Ma loro si sono opposti per restargli accanto. Lo rivela la figlia Maria Fida Moro nella terza e ultima parte del video-appello intitolato ‘Adesso Basta’, nel  giorno in cui si ricorda il sacrificio dei cinque uomini della scorta di Aldo Moro – Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, due carabinieri e tre poliziotti – vittime dell’agguato in via Fani il 16 marzo del 1978.

“Immediatamente dopo l’uccisione di papà tutte le scorte sono state rimosse: logico no?! Allora sono successe due cose straordinarie. Il carabiniere che scortava mia madre se ne è andato in pensione ed è rimasto di sua iniziativa per aiutare la mamma. I due giovanissimi carabinieri, che costituivano la scorta di Luca, che erano stati trasferiti altrove in turni e servizi diversi, per anni nel giorno libero venivano gratuitamente a lavorare. E lo stesso hanno fatto due poliziotti e due finanzieri”, racconta la primogenita del leader Dc. “Lo Stato e le sue istituzioni dovrebbero prendere esempio da queste azioni solidali e gratuite invece di escludere in modo assurdo ed ingiusto Aldo Moro, simbolo insanguinato degli anni di piombo, dall’applicazione totale della legge in favore delle vittime del terrorismo”, conclude Maria Fida Moro, ricordando come tuttora la legge per le vittime del terrorismo – n. 206 del 3 agosto 2004 – non sia applicata ad Aldo Moro.

 

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