
Calenzano. L’incendio del 9 dicembre al deposito di idrocarburi dell’Eni, oltre a causare cinque morti e una trentina di feriti avrebbe anche – secondo il geologo incaricato dalla Procura – inquinato la falda e i corsi d’acqua circostante. Si indaga per danno ambientale.
Il fatto è che i corsi d’acqua che circondano il deposito di idrocarburi Eni di Calenzano risultano essere inquinati. Emerge dalla relazione stilata dal geologo incaricato dalla Procura di Prato Giovanni Balestri. Che ha rilevato anche l’alto rischio di inquinamento della falda acquifera. La relazione è stata inviata dal Procuratore Capo Tescaroli al Ministro dell’ambiente, al Presidente della Regione Toscana, alla Sindaca della Città metropolitana ed alla Prefetta. L’obiettivo primario è quello di contenere e rimuovere le ripercussioni negative ambientali intorno al deposito. L’incendio del 9 dicembre scorso, con cinque morti e una trentina di feriti, ha svelato una situazione probabilmente già compromessa. I 18 ettari occupati dall’Eni sono su di una piana solcata da numerosi corsi d’acqua e con una falda importante nel sottosuolo. E mentre le acque provenienti dal deposito erano autorizzate solo ad essere scaricate nel torrente Garille, sembra siano state sversate anche nel fosso Tomarello, non cementato e quindi comunicante con la falda. Dalle analisi fatte il 13 febbraio risulta una costante presenza di idrocarburi nei reflui e sulla superficie del Garille e del Tomarello, con concentrazioni sei volte superiori a quelle previste dalle autorizzazioni. L’impianto ha cinquant’anni, la rete acque oleose non è ispezionabile a vista, i permessi risalgono al 2015, le alluvioni di questi mesi hanno messo in evidenza la mancanza di presidi contro il rischio idraulico, ed infine il devastante incendio che tra le altre cose ha contribuito anche ad un importante danno ambientale.