Lo ha affermato nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario il presidente della corte di appello di Firenze Margherita Cassano.”E’ legittimo chiedersi – conclude il presidente della corte di appello di Firenze – se la paventata, ma inevitabile dilatazione dei tempi conseguenti alla sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado possa conciliarsi con la ragionevole durata sancita dall’art. 111 della Costituzione
Contrariamente ad un’opinione diffusa, la percentuale più alta incidenza di prescrizione dei procedimenti matura nella fase delle indagini preliminari. Ciò non dipende dallo scarso impegno dei magistrati requirenti e giudicanti addetti a tale fase, ma dalla mancata razionale riforma, a circa novanta anni dalla sua entrata in vigore, del codice penale e dalla mancata revisione delle leggi speciali per adeguare le previsioni di reato alla mutata sensibilità sociale e contenere il numero dei reati”.
Lo ha affermato nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario il presidente della corte di appello di Firenze Margherita Cassano aggiungendo che “la recente riforma che sospende il termine della prescrizione dopo la sentenza di primo grado può produrre effetti opposti rispetto a quelli perseguiti”. Cassano ha sottolineato di voler trattare questo punto anche in considerazione della presenza del ministro Alfonso Bonafede alla cerimonia di Firenze.
“Può, infatti – ha spiegato Margherita Cassano -, indurre una minore attenzione dei pubblici ministeri in ordine ai presupposti per il rinvio a giudizio, provocare la conseguente saturazione dei Tribunali con processi non adeguatamente istruiti, un allungamento dei tempi di definizione in primo grado, determinare un minore impegno dei magistrati nella celere definizione dei processi in appello e in Cassazione”.
“E’ legittimo chiedersi – conclude il presidente della corte di appello di Firenze – se la paventata, ma inevitabile dilatazione dei tempi conseguenti alla sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado possa conciliarsi con la ragionevole durata sancita dall’art. 111 della Costituzione, con un giusto processo incentrato sul metodo dialettico nella formazione della prova, con la effettività di un diritto di difesa destinato ad esplicarsi a distanza di molti anni dal fatto”. Cassano aggiunge che l'”attuale proliferazione normativa si riflette negativamente sul corretto svolgimento del processo penale, sui suoi tempi, è oggettivamente incompatibile con le forze disponibili e rischia di attribuire improprie funzioni selettive all’Autorità giudiziaria. Nella fase del giudizio, sulla maturazione dei termini di prescrizione incide in maniera determinante la cronica e patologica mancanza del personale amministrativo. La pena rischia, quindi, di venire espiata a distanza di molti anni dalla commissione del reato con conseguente vanificazione delle finalità retributive e di prevenzione generale e speciale, delle aspettative delle vittime dei reati, delle prospettive di reinserimento dei condannati, demotiva le Forze dell’Ordine impegnate nel contrasto della criminalità”.