Mar 5 Nov 2024
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ToscanaCronaca“Cemento Nero”, operazione contro il caporalato

“Cemento Nero”, operazione contro il caporalato

Firenze, con l’operazione ‘Cemento nero’ a Vaiano (PO), Montemurlo (PO), Prato, Quarrata (PT), Pistoia, Agliana (PT) e Firenze, la Squadra Mobile di Firenze diretta da Antonino De Santis, con la collaborazione delle Squadra Mobili di Prato e Pistoia, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere del G.I.P. del Tribunale di Prato, su richiesta della Procura della Repubblica di Prato, competente per territorio, a carico di 11 persone, italiane e straniere, che riguarda un caso di c.d. “caporalato” nel settore edile.

Sfruttavano i lavoratori con paghe da 5 euro l’ora, con la minaccia di mandarli via se avessero rivelato queste condizioni. Ma uno di loro, un operaio straniero che reclamava denaro arretrato, e’ andato a denunciare i fatti alla Cgil di Firenze. Cosi’, due anni fa, e’ partita l’indagine della procura di Prato che ha portato stamane all’arres to di dieci persone, tutte finite in carcere. Un’undicesima persona e’ latitante all’estero. Per il pm Lorenzo Gestri i promotori dell’associazione a delinquere sarebbero i proprietari di due imprese edili ‘Novaedil srl’ e la ‘Eurocostruzioni 75 srl’. A guidarle i due fratelli egiziani Mohammed e l’imprenditore
calabrese Vincenzo Marchio. Dalle intercettazioni emerge che erano loro stessi a volere che il sistema del reclutamento si basasse sullo sfruttamento. In due anni di indagini sono una
sessantina gli operai sfruttati. Tra loro, 15 erano senza permesso di soggiorno, molti senza contratto, mentre ad altri operai – tra stranieri e italiani – veniva chiesto di restituire
parte di quanto era stato versato loro in busta paga per continuare a lavorare.
Tra gli altri arrestati ci sono 8 stranieri, perlopiu’ egiziani, tutti accusati di essere caporali, reclutatori di forza lavoro per le due imprese. Nell’inchiesta, denominata ‘Cemento nero’, i lavoratori venivano reclutati in una piazza di Prato e portati nei cantieri, non solo in citta’ ma anche a Firenze, Vaiano, Montemurlo, Quarrata, Pistoia e Agliana. Il lavoro non conosceva pause, ferie o orari: ‘Si lavora anche di notte se c’e’ bisogno’, dice al telefono uno degli indagati.

Gli indagati nell’operazione ‘Cemento nero’, sono gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, impiego di lavoratori non in regola con le norme in materia di immigrazione e falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità nel settore edile.

Secondo quanto emerso dalle indagini, e come riscontrato anche dalle attività di intercettazione telefonica, gli indagati, oltre a favorire la presenza degli stranieri irregolari sul territorio nazionale, tramite fittizie richieste di lavoro, impiegavano alcune società per “regolarizzare” solo formalmente una parte degli oltre 100 lavoratori effettivi, di nazionalità sia italiana che straniera.

La procedura consolidata era semplice: gli stranieri venivano reclutati quotidianamente presso un punto di ritrovo nella città di Prato, trasportati sul luogo di lavoro con auto e pullmini e impiegati nella costruzione di case e negozi in oltre 30 cantieri tra diverse provincie italiane, tra cui Firenze, Prato e Pistoia.

Sempre secondo quanto emerso dalle indagini ai vertici dell’associazione figurerebbe un cittadino egiziano di 41 anni con altri due uomini: il fratello di 39 anni, anch’egli egiziano, ed un 45enne originario di Crotone. I loro stretti collaboratori, incaricati principalmente della gestione, del trasporto e del controllo degli operai, sarebbero stati invece tre cittadini magrebini di età compresa tra i 26 e 43 anni. Il ruolo di intermediario, ovvero di reclutatore, sarebbe invece spettato ad altri cinque cittadini stranieri, anch’essi a loro volta operai. Tra gli indagati in stato di libertà, per i citati reati nell’inchiesta, figurano anche due fratelli pratesi di 39 e 68 anni che tramite la loro società avrebbero attestato falsamente la frequentazione di corsi sulla sicurezza degli operai affinché quest’ultimi risultassero qualificati sotto questo aspetto.

Il provvedimento è stato eseguito nei confronti di 10 indagati: uno al momento si trova all’estero.

Le aziende edili coinvolte nell’inchiesta per caporalato della procura di Prato, che ha fatto scattare 11 arresti in carcere, ricevevano incarichi di lavoro anche per cantieri di prestigiose griffes della moda a Firenze e a Scandicci. E’ quanto emerge dalle indagini della polizia dove, in particolare, si ricava che uno degli operai vittima dello sfruttamento dei caporali, sentito nel novembre 2018, ha raccontato di aver lavorato nell’estate dello stesso anno in un cantiere dei negozi Giorgio Armani in via Tornabuoni a Firenze e in tre cantieri degli stabilimenti Gucci a Scandicci (Firenze) – aziende della moda totalmente estranee ai fatti – senza esser mai stato retribuito, tranne un acconto, dal titolare egiziano di una delle due ditte di Prato coinvolte.
Inoltre in un’intercettazione, uno dei due fratelli imprenditori egiziani arrestati stamani, afferma che gli operai “rimangono fino alle sette, le otto le dieci e fino a che il lavoro va fatto. se devono rimanere fino a sera rimangono fino a sera.
Loro devono stare zitti”.
Secondo le indagini, manovali e muratori erano costretti a turni anche di 12 al giorno, sette giorni su sette, senza riposo domenicale, con solo pochi minuti a disposizione per pranzare, se venivano concessi. Nell’emergenza Coronavirus lavoravano senza dispositivi di protezione individuale, che non venivano forniti neppure quando operavano in cantieri considerati ad alto rischio. E’ anche emerso che gli immigrati col permesso di soggiorno venivano pagati ‘a nero’ con ricariche su carta postepay, mentre gli irregolari in contanti. Lo stipendio venivano pagato spesso in ritardo, dopo reiterate richieste da parte dell’interessato. I caporali fornivano vitto e alloggio in un appartamento a Quarrata (Pistoia) a fronte dei quali i lavoratori dovevano versare 200 euro al mese, detratti dalla paga. Non erano previste né ferie, né malattia: chi non si presentava al cantiere non veniva pagato

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