Sab 23 Nov 2024
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Cinema Odeon: il film di Marina Abramovic “The Space Between”

In concomitanza con l’apertura della mostra a Palazzo Strozzi, il viaggio della grande artista serba tra i miti e le tradizioni del Brasile. Lunedì 17 e Giovedì 20 Settembre, ore 21 al cinema Odeon “Marina Abramovic and Brazil: The Space Between”

Lunedì 17 e Giovedì 20 Settembre (ore 21), in concomitanza con l’apertura dell’attesissima mostra a Palazzo Strozzi, arriva al Cinema Odeon di Firenze il film MARINA ABRAMOVIC AND BRAZIL: THE SPACE IN BETWEEN (versione italiana) di Marco del Fiol. In viaggio in Brasile alla ricerca di nuovi stimoli creativi, Marina Abramovic intraprende un percorso di guarigione spirituale. Incontra medium a Abadiania, erboristi a Chapada, sciamani a Curitiba… Il sincretismo religioso del Brasile più profondo si fa percorso personale e artistico e racconto per immagini, in un seducente intreccio di profondità e ironia. Tra cerimonie di purificazione e trip psichedelici, Marina riflette sulle affinità fra performance artistiche e rituali e si mette totalmente a nudo, in un tragitto anche interiore nei meandri del suo difficile passato. Un film autenticamente “in between”, sospeso tra arte e vita, tra road movie e spiritual thriller, tra diario intimo e osservazione antropologica.

Un documentario senza filtri, che diventa a tratti duro, quando un guaritore interviene chirurgicamente su alcuni malati senza anestesia. Più che una chirurgia del corpo, una chirurgia dell’anima. I rituali accompagnano tutto il film. Rituali che l’artista segue con la voglia di scoperta, fino a provare l’ayahuasca, una droga sciamanica che la porta a non controllare più il suo corpo e la sua mente. La cura avviene anche con le piante perché, ci racconta un altro guaritore, “nel regno vegetale ogni specie ha la sua anima e uno scopo”. L’uomo, afferma l’artista, “non ha bisogno di arte perché la natura lo è già: sono gli uomini che vivono in città ad aver bisogno di opere perché non hanno tempo”.

L’artista aveva conosciuto il Brasile alla fine degli anni Ottanta quando era alla ricerca del potenziale curativo dei minerali, strumenti che l’hanno accompagnata nel suo percorso e che sono diventati parte fondante del suo “metodo”. Da questo viaggio ha imparato ad amarsi, a voler continuare a insegnare agli esseri umani a trascendere il dolore, arrivando a dire che “il pubblico è l’opera” perché ogni artista “vive nello spazio di mezzo”.

Abramović non ama le religioni perché le ricordano le istituzioni: è la fede a guidarci. Il corpo accumula i traumi infantili e adolescenziali di cui dobbiamo liberarci. Ci racconta quando da piccola la madre, ossessionata dalla pulizia, costringeva i suoi amici a indossare una maschera per entrare nella sua stanza, evitando così qualsiasi contagio di (immaginari) virus. La maniacalità della madre l’ha spinta a creare un suo mondo parallelo, a giocare con le ombre. Il film si chiude con l’immagine iniziale in cui l’artista si addentra nella caverna in cerca di una nuova vita, dopo la guarigione. Il viaggio non termina qui perché “non ti senti mai a casa in nessun luogo”, e la non appartenenza diventa un modus vivendi che la porta a definirsi una “nomade moderna”.

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