Dom 22 Dic 2024
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Comune di Pisa condannato alle spese legali per mancata iscrizione anagrafica a richiedente asilo

Pisa, il Comune è stato nuovamente condannato dal Tribunale di Pisa per aver negato l’iscrizione anagrafica a un richiedente asilo, ospitato a Pisa presso una struttura della Croce Rossa.

“Fin da quando il primo “Decreto sicurezza” ha stabilito che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non dava diritto alla residenza -si legge in un comunicato firmato da  ‘Una città in comune’, ‘Rifondazione Comunista’ e ‘Pisa Possibile’ – abbiamo contestato l’intento discriminatorio della norma e la sua interpretazione strumentale: la residenza è, infatti, un diritto soggettivo che non può essere negato a chi vive regolarmente sul territorio, come nel caso dei richiedenti asilo, anche perché tale negazione lede altri diritti fondamentali legati alla residenza, come la salute e la protezione sociale. La nostra posizione è stata confermata anche dalla sentenza n. 186 del 2020 della Corte costituzionale, che ha denunciato l’intrinseca irrazionalità della norma voluta dall’ex Ministro degli Interni Salvini”.

“La novità, rispetto alle precedenti condanne subite dal Comune, – continua il comunicato – è che il Tribunale ha assegnato il pagamento delle spese legali all’amministrazione comunale, per 2.900 euro: questo è il risultato del fatto che il sindaco, nonostante le precedenti sentenze con cui il Comune di Pisa era stato già condannato dal 2019 e le nostre reiterate diffide a seguito di una giurisprudenza consolidata, non ha mai dato disposizione agli ufficiali dell’anagrafe di dare la residenza ai richiedenti asilo, applicando le sentenze e rispettando la legge”.

“Con l’addebito delle spese legali, la collettività finisce per pagare il prezzo della propaganda antimmigrati della Lega e del sindaco. Per contrastare quest’esito inaccettabile, invieremo nei prossimi giorni una segnalazione alla Corte dei Conti. La cifra di 2.900 può essere considerata modesta, all’interno del bilancio comunale, ma noi difendiamo un principio molto semplice: il sindaco ha avuto tutto il tempo, in questi anni, per allineare la prassi dell’anagrafe a quanto deciso dai tribunali e quanto previsto dalla nostra Costituzione. Se non l’ha fatto, per motivi di propaganda xenofoba, non è giusto che a pagare sia la cittadinanza”.