Condannato nel 2019 in appello per peculato nonostante fosse morto alcuni mesi prima, all’età di 53 anni, e che il suo avvocato avesse avvisato i giudici del decesso. In questi giorni, dopo due anni, il difensore dell’uomo si è visto recapitare l’ordine di esecuzione
della pena definiva.
In base a questo documento il condannato, sebbene deceduto, rischia addirittura il carcere se non verrà presentata istanza di pene alternative. La vicenda, accaduta presso il tribunale di Firenze, è riportata oggi sulle pagine dell’edizione fiorentina de ‘La Nazione’.
La storia ha inizio nel 2010 quando un 53enne di Sesto Fiorentino (Firenze) viene indagato per peculato: da amministratore di fatto di un’agenzia di pratiche auto avrebbe trattenuto i soldi dei bolli che invece andavano versati all’Aci.
Nel 2012, in abbreviato, fu condannato a un anno e quattro mesi. Secondo quanto spiegato dal quotidiano, nel novembre del 2019 si è tenuto il processo davanti alla corte di appello. Il difensore, avvocato Giovanni Marchese, seppe della morte dell’imputato poche ore prima della sentenza.
I giudici, riferisce sempre La Nazione, diedero comunque lettura della sentenza, aumentando tra l’altro la pena a due anni e due mesi di reclusione. La condanna adesso è diventata definitiva e la macchina della giustizia è andata avanti, nonostante la morte
dell’uomo. Il suo difensore si è così visto recapitare la comunicazione dell’ufficio esecuzioni penali della procura generale.
Nel documento viene anche precisato che il condannato ha diritto a chiedere misure alternative alla detenzione, e che se non lo farà per lui si apriranno le porte del carcere.