Si inseguono in questi giorni le voci – provenienti dalla nuova amministrazione Usa – di una possibile chiusura del Consolato generale a Firenze. E la città di spacca, tra chi ricorda le importanti ricadute commerciali e chi ricorda la morte di un pezzo del quartiere.
Da una parte c’è la preoccupazione di imprese e industriali, investitori e vari player del commercio internazionale. Si parla infatti con sempre più insistenza della chiusura del Consolato generale statunitense di Firenze. Siamo sui Lungarni più belli, il Vespucci, che tante polemiche e proteste sollevò alla sua blindatura ai tempi dell’11 settembre. Da allora sono passati 24 anni e alla Casa Bianca siedono Trump, Vance e Musk, che stanno attuando una sorta di colpo di stato, azzerando la pubblica amministrazione. Il Doge, dipartimento per l’efficienza governativa di Elon Musk sta lavorando a un nuovo software che potrebbe agevolare i licenziamenti di massa dei lavoratori federali in ogni branca del governo, stando a quanto riferito a Wired US. Ora le esportazioni da Firenze verso gli Usa ammontano a 9 miliardi di dollari. Ma con i dazi cosa accadrà? Le aziende Usa sul territorio sono 250 e occupano 45mila persone. Comprensibile le gravi preoccupazioni, persino lo sgomento di industriali ed imprenditori. Basti pensare al progetto Connect us che ha messo in contatto le nostre start up con gli investitori americani. Dalla Camera di commercio a Confindustria prendono atto che – come dicono loro – c’è un nuovo sceriffo nella città occidentale. Ma c’è una parte della città che non dimentica le proteste e i comitati, il dissenso continuo, durato anni che seguì al militarizzazione ed alla chiusura di tutta l’area consolare dopo l’11 settembre. Quel pezzo di città venne sacrificato. Nessun negozio, nessuno a piedi, un pezzo di città perso e regalato al diktat Usa. Ora di quella arroganza, ne prendo atto tutti.