Critico per un giorno – Al cinema La Compagnia di Firenze il film ‘La Nuova scuola Genovese’, documentario che racconta uno spaccato sulla musica e su una città, Genova, che fa incontrare la generazione dei cantautori e quella dei rapper. Lorenzo Braccini ha intervistato i soci del Controradio Club che hanno assistito alla prima per la rubrica Critico per un giorno.
Critico per un giorno ha presentato ‘La nuova scuola genovese’. Da Fabrizio De Andrè a Gino Paoli, da Luigi Tenco a Vittorio De Scalzi (fondatore dei New Trolls) e poi ancora Max Manfredi, Federico Sirianni, Cristiano De André. Cantautori, poeti, che oggi vengono messi a confronto con la nuova scena musicale di Genova, con i rapper Vaz Tè, Guesan, III Rave, Disme, Nader, Demo, Young Slash, Cromo, Giua. Esiste un filo conduttore che lega passato e presente? Può il rapper di oggi ripercorrere le tracce lasciate dal cantautorato degli anni Sessanta, Settanta?
‘La nuova scuola genovese’, ideato da Claudio Cabona e diretto da Yuri Dellacasa e Paolo Fossati prova a rispondere a questo intettorogativo. Sullo schermo è protagonista anche la città di Genova che viene mostrata come qualcosa di unico attraverso i suoi colori, le case popolari, le onde del mare, i palazzi nobiliari, il cielo con la luna. E forse, proprio questa città, è il collante necessario a unire i fili e a creare un modello difficilmente imitabile.
Queste le recensioni dei soci del Controradio Club – Critico per un giorno.
“Premetto che sono un ultrasessantenne amante (da sempre) della musica.
Non dico che “non vivrei senza musica” (perché.. purtroppo.. la triste realtà ci insegna che ci si “adatta” a vivere anche sotto le bombe e in moltissime altre situazioni terrificanti), ma direi che con la musica vivo meglio.
Tutta la musica: classica, leggera, folk, jazz, rock, progressive, ecc.; inclusi, ovviamente, i cantautori italiani della mia “giovinezza” (De Andrè, Guccini, De Gregori, ecc.).
E mi piacciono anche le “contaminazioni”, le “fusioni”, le “evoluzioni”, ecc..
Conosco pochissimo il rap, ma ho un figlio ventiseienne che lo ascolta e.. ha scritto una tesi di laurea in filosofia intitolata (più o meno) “Dal Jazz all’ Hip Hop e al Rap, alla luce di una interpretazione adorniana”!
Però non è stato lui a portarmi a vedere questo film, ma il contrario, sia perché immaginavo che l’avrebbe interessato, sia perché io sono.. molto curioso e non prevenuto, e l’argomento mi intrigava.
Il film è fatto bene, ed è carina l’idea dei confronti/interviste fra genovesi (“vecchi” cantautori e “giovani” rapper); che è corretto non definire canta-autori, perché, in effetti, al contrario dei “vecchi” canta-autori, non cantano ma recitano e, anche per tale motivo, li accosterei più alla poesia che alla musica, nonostante a volte le “campionature” sono musicalmente interessanti.
Mi viene in mente De Andrè che rispondeva, a chi gli chiedeva se preferisse essere definito cantautore o poeta (dato che i testi di alcune sue canzoni si trovavano nelle antologie delle scuole medie), che.. da giovani tutti scrivono poesie, mentre da adulti continuano a scriverle solo i veri poeti e gli.. imbecilli; per cui lui preferiva definirsi, in via cautelativa, cantautore!
Ed è, secondo me, proprio e soprattutto il “canto” che differenzia il canta-autore dal rapper, anche se, prendendo ancora ad esempio De Andrè, nelle sue prime canzoni il testo era prevalente rispetto alla musica e quasi recitato (“La ballata degli impiccati”, “Il Testamento di Tito” citato anche nel film, ecc.), mentre nel suo ultimo album (Anime salve) c’è un equilibrio praticamente perfetto fra il testo (bello da leggere anche senza la musica) e la musica (bella da ascoltare anche senza il testo), che però raggiungono la massima bellezza (testo e musica) proprio quando sono assieme (1+1=.. 3!). E questo è frutto senz’altro della maturità che avevano raggiunto sia De Andrè che Fossati (coautore delle canzoni di quell’album). Non credo che la “Scuola Genovese” dei “vecchi” cantautori sia migliore della “Scuola Romana” o della “Scuola Bolognese” o della “Scuola Napoletana” (quest’ultima con più “musica” e meno “testo”). Nel film si fa molto riferimento alla “particolarità” della “Scuola Genovese”, con richiami al mare, al porto, ecc.. Ma allora Napoli? Non ha anch’essa una “Scuola” particolare? Dipenderà dal mare? E, relativamente alla “Scuola Genovese” dei “giovani” rapper,.. io conosco pochissimo il rap, ma mi sembra che, anche in questo caso, anche Napoli sia una buona “Scuola”: dipenderà ancora dal mare?
Forse un limite del film è che non fa ascoltare, o quasi, pezzi rap, per cui aiuta a comprendere il “pensiero” dei rapper, le loro istanze, il loro riscatto contro la discriminazione di classe (in questo anche i rapper genovesi mi sembrano diversi dai cantautori genovesi che spesso provenivano da famiglie benestanti da cui magari prendevano le distanze), ma non aiuta a conoscere la conoscere il rap”. (FRANCESCO)
“Mi ha fatto piacere venire a conoscenza di questo fiorire di giovani, che non conoscevo, che si dedicano a questo genere di musica rap, trap etc. Non avendo ascoltato quasi niente della loro produzione musicale nel film, a parte l’ultimo pezzo eseguito tutti insieme, non sono pertanto in grado di pronunciarmi sul rapporto con la scuola genovese dei grandi “vecchi”. Interessanti le interviste tra i “sopravvissuti” e la nuova leva genovese ma non abbastanza da farci capire i collegamenti fra queste due realtà. Sono comunque soddisfatto di averlo visto perché c’é sempre da scoprire nuove realtà, anche se io, pur essendo appassionato a tutti i generi musicali, non sono un estimatore di questa musica..”
(A. Bossuto)
“Il documentario si propone di analizzare due differenti generazioni di artisti (cantautori e rapper) cercando di identificare delle linee di continuità nell’ispirazione che la città di Genova suggerisce al liricismo di due fenomeni apparentemente scissi dal tempo. Le potenti immagini ci riconsegnano Genova nel suo ibrido di splendore e mistero, alternandosi alle riflessioni degli artisti e dando vita a interessanti confronti come Dori Ghezzi – Izi o Gino Paoli-Tedua. Se l’obiettivo del film era suscitare riflessioni sul confronto fra cantautorato e hip hop, non possiamo che definirlo un successo. Qualcuno potrebbe tuttavia ritenerlo deficitario nella proposta del materiale musicale: se il tappeto musicale su cui scorre il racconto é adeguato, probabilmente non lo è la quantità di canzoni proposte per avere un esempio tangibile di due diversi stili musicali. Tedua e Gino Paoli discutono di scrittura e musica, ma un giovane spettatore non scopre la musica di Gino Paoli così come all’audience più vetero non viene data la possibilità di ascoltare la musica di Tedua. Una scelta senz’altro legittima ma che allontana la possibilità di avviare un confronto basato sulla produzione artistica e non solo sulle linee teoriche. Ipotizzare che il pubblico riesca a trovare autonomamente le canzoni adatte su cui trovare i riscontri di ciò che ha visto nel film é chiedere un po’ troppo ad entrambe le fasce di età a cui il film si rivolge, visto che nonostante la comune ispirazione, le differenze stilistiche fra i due generi musicali sono tangibili. Nel complesso il film si rivela comunque interessante”. (NICCOLO’)
“Il documentario é molto piacevole visivamente e mostra una Genova che merita di più dello spazio televisivo e cinematografico finora riconosciutogli.
L’accostamento e il confronto musicale fra la i cantautori della scuola genovese e i nuovi rapper é decisamente interessante, anche perché é stato pensato dagli stessi protagonisti.
Ho trovato alcune interviste e dialoghi un po’forzati, non naturali, ma, in genere, é un’ora che passa guardando punto di vista completamente diversi e riscoprendo un luogo magico”.
(Agnese Taddei)
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