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Crollo Morandi: “nessuna psicosi, con manutenzione ingegneria e’ sicura”

crollo ponte Morandi

 Lettera aperta del pro. Claudio Borri, docente di Scienza delle Costruzioni all’ateneo di Firenze e del prof. Enzo Siviero ingegnere, architetto e docente italiano. Ha dedicato gran parte della sua carriera nella progettazione di ponti e nell’insegnamento delle strutture nella facoltà di architettura dell’Università di Venezia.

La tragedia del crollo del viadotto sul Polcevera, noto come “ponte Morandi”, seppure nell’ atmosfera di cordoglio, sgomento e di impotente indignazione che pervade l’intero paese, rende urgente delle immediate riflessioni.

Chi scrive si e’ occupato di grandi strutture e di ponti da una vita ed ha insegnato a calcolarle/i e progettarle/i a intere generazioni di studenti, oggi professionisti ingegneri o architetti. Nell’ attivita’ professionale o di consulenza abbiamo sempre curato gli aspetti della qualità architettonico paesaggistica e della durabilità nel tempo: questa attivita’ ci ha portato ad occuparci, fra l’altro, anche di strutture molto innovative e mai realizzate in precedenza, come l’attraversamento stabile dello stretto di Messina (nell’ ultimo “alto comitato scientifico” della Stretto di Messina Spa, 2008-2011).

Per spirito di servizio e migliore informazione degli ascoltatori radiofonici aggiungiamo alle tante opinioni già espresse in queste ore anche alcune nostre personali riflessioni “a caldo” (ampiamente incomplete perché nessuno ha ancora elementi probanti a supporto delle stesse…) .

Come premessa: si deve pensare da SUBITO a come ripristinare il collegamento, essenziale e vitale per la vita economica e sociale della citta’ della regione Liguria, nonche’ di gran parte dell’economia del Nord Italia. Ancor prima di preoccuparsi a chi assegnare le colpe di quanto e’ accaduto (quanto si ascolta da alcuni vertici della politica nazionale e’
addirittura sconcertante !) occorre capire quali siano state le cause scatenanti di un collasso cosi’ improvviso e rovinoso e quale sia stato  l’effettivo stato di salute della struttura e dei suoi collegamenti.

Siamo convinti che si debba demolire quel che resta (a meno di fare un intervento di recupero totale, pressoche’ impossibile …) e costruire un ponte strallato ovvero, per motivi ambientali, forse meglio “estradossato” (tipologia poco usata ma meno invasiva dello strallato) ricorrendo all’acciaio anche per velocità di esecuzione e facilità di montaggio,
potendo utilizzare con buona probabilità anche  le fondazioni esistenti!
Un progetto più o meno pronto o da adattare lo si trova facilmente. Con la capacità produttiva delle ditte di carpenteria metallica che abbiamo in Italia e con una gestione commissariale “forte”,  in 6-8 mesi forse anche meno, si potrebbe riaprire!

Nel caso del Polcevera, si tratta(va) di un ponte strallato in cemento armato e cemento armato precompresso, tra loro intelligentemente accoppiati. Una innovazione assoluta per l’epoca essendo i tiranti in cap anziché in acciaio come d’uso. Le due “stampelle” inclinate sottostanti riducono le luci in gioco migliorando decisamente il comportamento statico
anche nel gioco “tiranti-puntoni”. Lo schema statico è ineccepibile! Non così purtroppo il comportamento dei materiali nel tempo, come certamente era stato verificato nei numerosi controlli effettuati negli ultimi 2 decenni.

Ciò detto, osserva in dettaglio Enzo Siviero:

> “Io il Polcevera (così lo si chiamava tra gli addetti si lavori) non l’ho
> mai amato (ma sono tra i pochissimi che lo affermava pubblicamente anche
> perché Riccardo Morandi era una Icona nazionale e internazionale in tema
> di ponti… ma i suoi migliori a mio avviso sono quelli ad arco vedasi
> Catanzaro e Storms River in Sud Africa…)
>
> A. Era “Fuori Scala” rispetto al contesto semiurbano. Troppo invasivo!
>
> B. Nessuna reale previsione di manutenzioni straordinarie. A quel tempo
> non era considerato necessario… il tema durabilità è entrato nel
> dibattito scientifico a partire dagli anni ‘80 e io me ne sono occupato
> per una decina di anni pubblicando un libro (credo primo in Italia…) .
> Tuttavia in questo caso, causa difficile accesso da sotto dove c’è “di
> tutto”, ciò era comunque molto problematico anche per motivi di sicurezza.
> Certamente costosissimo.
>
> C. I tiranti in cemento armato precompresso erano un azzardo e nessuno ,
> salvo Morandi, li ha mai più utilizzati. I soli altri due casi sempre di
> Morandi sono: il Wadi Kuf in Libia che io ho visitato a fine  anni ‘70
> (ristrutturato molto bene pochi anni fa dall’impresa Rizzani De Eccher) e
> Maracaibo che non mi risulta stia troppo bene in salute.
> In effetti c’e anche il ponte della Magliana molto simile ma è ben più
> piccolo e non sembra avere problemi seri.
> Va poi segnalato che due decenni fa , un paio di tiranti sono stati
> anche sostituiti con i più adeguati stralli in acciaio (e avrebbero fatto
> bene a sostituirli tutti…)
>
> D. La fatica nei materiali è una “brutta bestia” e il traffico li era
> elevatissimo oltre che con un forte aumento dei carichi in transito quindi
> sollecitazioni ben più elevate. È quindi possibile  che si sia determinato
> nel tempo, un significativo decadimento della resistenza meccanica del
> calcestruzzo e dell’ acciaio, ulteriormente accelerato da fenomeni di
> aggressione dovuti all’ ambiente marino. Ma anche se il monitoraggio di
> questo ponte era particolarmente accurato evidentemente non è stato
> sufficientemente approfondito.
>
> E. La sua demolizione era prima o poi pressoché inevitabile ( ma
> difficilmente realizzabile a causa della sua collocazione semiurbana e con
> la ferrovia sottostante, ma ora sarà presumibilmente necessario …) Poi
> mi risulta che
> sia  anche vincolato dalla soprintendenza essendo considerato un vero e
> proprio monumento (e forse lo è… o almeno così era ritenuto dalla quasi
> totalità degli addetti…)
>
> F. I  controlli e le manutenzioni negli ultimi decenni in Italia sono
> stati ampiamente sottovalutati (perché elettoralmente poco “redditizi” )
> dando “colpevolmente”  ampia priorità a guard rail e barriere antirumore .
> Ciò lo sto affermando da decenni pressoché inascoltato salvo un
> ripensamento più recente ma con esecrabile ritardo.
>
> G. Infine non si può sottacere che è totalmente falso che il calcestruzzo
> abbia una vita di soli 50 anni! Lo si usa dalla fine ‘800 primi ‘900 con
> risultati eccezionali. Vedasi il ponte Risorgimento a Roma del 1910 o i
> meravigliosi ponti in Svizzera di Robert Maillart. Semmai è troppo spesso
> mancata la necessaria manutenzione a partire dalla protezione delle
> superfici esterne.”

Altre considerazioni potranno seguire… anche di carattere tecnico
amministrativo e gestionale e sul rispetto della normativa o la sua
interpretazione! Ma attendiamo tutti informazioni più dettagliate.

C. Borri & E. Siviero, 17.8.2018

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