Sunshine Rock è il quattordicesimo album solista di Bob Mould, icona e figura di riferimento della cultura alternativa americana. Il nuovo album dell’ex Hüsker Dü, anticipato dai singoli “What Do You Want Me Me Do Do”, “Sunshine Rock” e “Lost Faith”, esce per Merge Records e arriva a due anni di distanza dal precedente Patch The Sky.
“Sto cercando di mantenere le cose più luminose in questi giorni: è un modo per rimanere vivi. Sunshine Rock è una canzone brillante e ottimista, e una volta che l’ho finita sapevo che sarebbe stata la title track. Ha davvero dato il tono per la direzione dell’album” ha dichiarato lo stesso Mould, uno degli ultimi rappresentanti di un’epoca probabilmente irripetibile. Il riferimento eplicito del concept è al cosiddetto “sunshine pop” un sottogenere di una certa fortuna negli anni ’60, caratterizzato da complesse melodie vocali e sofisticati arrangiamenti orchestrali (su tutti The Mamas & The Papas, Turtles, Association, Fifth Dimension, Harpers Bizarre, Free Design), a riprova di ciò la riuscitissima cover, nell’album, di “Send Me A Postacard” degli Shocking Blue.
Un disco a suo modo “solare” dunque, ma solido e a tratti “ispido” con sonorità spesso molto vicine a quelle degli indimenticabili Hüsker Dü.
Così se ne parla su Sentireascoltare: “Sunshine Rock segna la chiusura in grande stile di un decennio che ha visto uno dei numi tutelari del più classico punk rock statunitense raggiungere, nelle vesti da solista, una maturità invidiabile mantenendo contemporaneamente un’ottima forma creativa. Visto come uno degli ultimi rappresentanti di un’epoca irripetibile, Bob Mould ha infatti attraversato quattro decenni di rock alternativo americano passando dai pionieristici 80s all’interno dei seminali Hüsker Dü al songwriting confessionale di album quali Workbook e Black Sheets of Rain, per poi reinventarsi all’interno degli Sugar con il capolavoro Copper Blue, uno dei migliori album di alternative rock degli anni novanta. Dopo una serie di inversioni ad U professionali, esperimenti artistici di diversa natura e divagazioni varie, c’è stato il colpo di coda costituito da Silver Age, uscito nel 2012 e definitivo ritorno alla collaudata formazione a tre – spalleggiato da Jason Narducy al basso e Jon Wurster alla batteria – e ad un sound che si riconnette direttamente a quello dei suoi migliori lavori discografici di sempre. I successivi Beauty & Ruin e Patch the Sky sono seguiti sulla stessa falsa riga, coniugando il suo stile chitarristico, ritmicamente trascinate e potente ed allo stesso tempo armonicamente complesso e suggestivo, a testi che mai erano stati così diretti, personali ed onesti, ideale complemento e prosecuzione di quanto narrato nella sua biografia See a Little Light: The Trail of Rage and Melody. In particolare la dipartita di entrambi i genitori e la conseguente rielaborazione della propria difficile infanzia e prima giovinezza – tra violenza familiare, alcolismo e sofferta presa di coscienza della propria identità omosessuale – hanno fortemente segnato le canzoni contenute in questi tre album, conferendo profondità e dinamismo in un’alternanza tra slanci euforici ma anche ombrosa introspezione. Questo Sunshine Rock arriva a poco più di un anno di distanza dalla prematura scomparsa di Grant Hart, che di Mould è stato contraltare compositivo durante l’avventura Hüsker Dü, e nonostante questa ed altre tragedie – sia personali che globali – scorrano costantemente sotto traccia, per tutta la durata dei suoi dodici brani fa onore al proprio programmatico titolo. Le coltri che incombevano anche nei momenti più melodicamente espansivi degli album precedenti sembrano essersi quasi completamente dissolte. Al loro posto una consapevole positività, ma sia ben inteso, raggiunta con sacrificio e fatica. L’ottimistica title track detta il passo, What Do You Want Me to Do, Sunny Love Song e Thirty Dozen Roses suonano furiosamente emozionali ed urgenti come solo il migliore pop punk può fare, e rimandano alla memoria i più accativanti episodi di Copper Blue. The Final Years ed Irrational Poison sorprendono per raffinatezza di scrittura e sofisticati arrangiamenti, impreziosite come sono sia da sottili venature elettroniche che da eleganti inserti orchestrali, una novità assoluta per la musica di Mould ed ennesima dimostrazione del suo amore per la tradizione pop e rock più classica e nobile. Non è un caso infatti che la copertina risulti cosi rétro, visto che la sua ispirazione proviene proprio dall’estetica dei 45 giri degli anni ’60 e ’70, gli stessi che hanno fornito a Bob un’ancora di salvezza da bambino e che successivamente hanno contribuito con le loro melodie a rivoluzionare l’hardcore punk degli Hüsker Dü. Ed è proprio verso l’hardcore punk e la sua intransigente scena – e verso altri fantasmi – che l’urlo primordiale di I Fought sembra essere indirizzato, quasi alla ricerca di una riconciliazione, unico episodio questo che arriva a spingersi verso una catarsi violenta, dolorosa quanto necessaria. Il testo ironico e dolcemente nostalgico di Camp Sunshine arriva come ciliegina sulla torta, un’altra invenzione melodica di classe superiore cantata con insolita tenerezza, piccolo gioiellino quasi beatlesiano che serve ad accompagnare alla conclusione un disco composto, suonato e cantato ancora una volta con il cuore in mano da uno degli ultimi esemplari di una specie in via d’estinzione.”
Così su Rockol: “Bob Mould si avvicina ai sessant’anni – traguardo che da alcuni (vedi l’ultimo Fiumani, tanto per citare un esempio nostrano) è visto come un “abisso” da esorcizzare o da affrontare con stoicismo. E invece il caro Mould sembra abbracciare la saggia teoria non stare a farsi troppe seghe mentali. Infatti “Sunshine Rock” (fin dal titolo, a onor del vero) segna un cambiamento di rotta piuttosto drastico rispetto all’introspezione più livida, ombrosa (quasi invalidante a tratti) dei precedenti “Beauty & Ruin” e “Patch The Sky”. Ma non crediate che Bob si sia messo a fare pop tutto fiori e cuoricini o indie zuccheroso dai colori pastello: paradossalmente rabbia, tiro ed energia ci sono ancora. Anzi, paiono più vivi e vitali ancora, in un contesto meno deprimente… insomma, “Sunshine Rock” è un disco in cui si respira una specie di stato d’animo di felicità combattente. Si celebra un nuovo stato d’animo, più solare, ma con la consapevolezza che ogni giorno va vissuto al 100%, non dimenticando che in ogni istante potrebbe cambiare tutto (e non in meglio). Ma chi si ferma è perduto e mugugnare sul passato non ha più senso. Il Mould del 2019, insomma, è in ottima forma e rispolvera un piglio rock bello tosto, al riparo da ogni tentazione elettronica (sbandata che in passato lo ha ammaliato in più di un’occasione, ma con risultati poco proficui). Barra dritta, Fender Stratocaster in tiro e sguardo fiero: dai ricordi degli Husker Du al rock esuberante più classico, passando per qualche episodio più psichedelico, il disco sciorina un ventaglio di sonorità ben definite e ficcanti (compresa una cover degli Shocking Blue: “Send Me A Postcard”).”