“The thread that keeps us” è il 9° album di studio dei Calexico la band di Tucson Arizona guidata da Joey Burns e John Convertino; lo stesso Convertino ha raccontato l’album ai nostri microfoni.
Diversamente dagli album precedenti, il disco non è stato concepito e registrato in Arizona ma in una enorme casa nel Nord della California costruita con detriti e legname recuperato da un cantiere navale denominata Panoramic House e trasformata in studio (che la band ha subito soprannominato “la nave fantasma”). Dominato da contrasti tra sogno e incubo, luce ed oscurità, il disco riflette gli umori respirati nell’inedita location e in generale nello Stato americano, dunque utilizzando quelli per formare un commento generale sui tempi incerti in cui viviamo. Co-prodotte da Craig Schumacher, le nuove canzoni si presentano con un sound rinnovato, arrangiamenti più complessi e testi più riflessivi.
Ascolta l’intervista della nostra Lucille a John Convertino
Così se ne parla su Sentireascoltare:
È vero che Convertino e Burns non si sono spostati tanto in là sulla carta del loro immaginario e nemmeno sul planisfero (siamo passati da casa, in Arizona, alla California, dove è stato registrato l’album), ma appena parte il nuovo disco dei Calexico si avverte una vibrazione diversa. Soggetti, toni, colori dei loro paesaggi musicali, riconoscibilissimi, sprizzano vigore, fantasia, persino novità. Sarà perché raccontano storie che bruciano sulla pelle dell’oggi, della age of extremes di cui si parla in End of the World with You: storie di migranti, di guerre e di disastri ambientali. Non gridano i Calexico, però in questo disco la loro musica è più potente e più emotiva che mai. E populista ma nel senso buono – che rimanda alla tradizione della canzone folk di protesta –, oltre che suonata con un trasporto che ce la fa arrivare come forse mai ci era arrivata prima, scartando, se non proprio spazzando via, manierismi e autoindulgenze che in una band dalla formula così particolare rimangono un pericolo costante.
È anche per questo che i primi pezzi di The Thread That Keeps Us, la ballata folk-rock passionale e modernista alla Wilco, End of the World with You, il flamenco psichedelico di Voices in the Field e la bossarock in salsa tex-mex di Bridge to Nowhere, li andiamo a mettere d’istinto tra le loro cose più belle e coinvolgenti. Ma suggestivo e arguto è anche il modo in cui Burns e Convertino contaminano il tipico rock vintage con suoni contemporanei, o i loro stessi cliché con sonorità un po’ più insolite; ci sono i tocchi degli immancabili fiati mariachi dentro il funk-reggae di Under the Wheels, le maracas insieme a un organo anni ’60 nella dance elettroacustica di Another Space, come un retrogusto western nel blues rock di Dead in the Water. Fedeli alla loro impronta di suono, ma anche bravi a girarci intorno.
Sono i Calexico più emotivi che abbiamo mai ascoltato? Probabile, e per certi versi anche i più accattivanti, grintosi, se non sorprendenti. Un tris di aggettivi che fa piacere mettere insieme quando si racconta di una band di veterani.
Così su Ondarock:
Registrato in una casa gigantesca nel nord della California costruita in legno con materiali recuperati da un cantiere navale, “The Thread That Keeps Us” è il nono album in studio degli storici Calexico, formazione guidata dal duo Convertino/Burns, e segue l’apprezzato “Edge Of The Sun” di tre anni fa. La casa, denominata Panoramic House, è stata ribattezzata dalla band come “nave fantasma”. Un luogo particolare, che esplica la politica dei Calexico, l’approccio artistico, umano e sociale che da sempre contraddistingue la loro musica. Nel corso degli anni, Convertino e Burns non sono stati fermi un attimo, e hanno sempre viaggiato, suonato, conosciuto persone nuove e collaborato con i musicisti più svariati. Il loro modo di intendere la vita è complementare e intrinsecamente legato alla musica, alla voglia di suonare ed esibirsi sempre, comunque e ovunque.
A differenza dei lavori precedenti, stavolta i risvolti politici dei loro testi si nascondono dietro la narrazione di vicende umane diversissime tra loro. Sono indignati, i Calexico. Indignati per come si sono messe le cose negli States dopo le ultime elezioni presidenziali. Ma non solo. Sono tremendamente spaventati dagli eventi climatici, dalla reiterazione secolare di drammi come il razzismo. Insomma, per quanto concerne l’interpretazione squisitamente politica in questo loro nono disco, ce n’è davvero per tutti i gusti, e spunta perenne l’eterno contrasto tra la luce e il buio, la speranza e la paura.
L’album presenta soluzioni talvolta non proprio in linea con le armoniche morriconiane e mariachi del passato. Si prenda ad esempio l’introduttiva “End Of The World With You”, con tanto di refrain alla Built To Spill, mentre la pulsazione elettronica in modalità giocattolo di “Under The Wheels” associata alla solita cadenza gipsy tende a non esaltare particolarmente, risultando scontata e prevedibile nonostante la volontà di partenza di provare a mescolare le carte. Molto meglio la strada intrapresa nel passo funky più cupo e “noir” di “Another Space”, o nel rock graffiante e bluesy di “Dead In The Water”.
Certo, non sono queste le “novità” da decantare. E se raffrontiamo il tutto con l’efficacia delle sonorità del passato, la sterzata appare debole, non del tutto convincente. Le cose cambiano al meglio quando i due tornano nelle loro polverose corsie preferenziali, tra la California e il Messico, il deserto e i saloon, come accade nella tradizionale “Flores Y Tamales”. Nel finale c’è tempo anche per una ballad melanconica come “Thrown To The Wild” e un’incantevole perlina acustica quale “Musical Box”, che innalzano la bontà di un album a tratti anche apprezzabile, equilibrato. Un lavoro degno per metà della storia luminosa di una band che continua a spostarsi in lungo e in largo, e che sembra non avvertire fatica, perennemente spinta da un insaziabile desiderio di umana interazione.