Dom 24 Nov 2024
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Disco della settimana di Controradio: i Jungle con “For Ever”

Il nuovo disco della settimana di Controradio (a partire dal primo ottobre) è il secondo lavoro dei londinesi Jungle e si intitola “For Ever”

Era il luglio del 2014 quando  i Jungle pubblicavano l’omonimo disco d’esordio. Album che includeva singoli di grande impatto come “Platoon”, “Busy Earnin’”, “Time” e “The Heat”, in poco tempo diventati dei veri e propri classici neo soul. Il  duo di  Londra composto  da  Josh “J” Lloyd-Watson e Tom “T” McFarland, due produttori e polistrumentisti  mai avrebbe immaginato di uscire dal proprio studio di registrazione, né tanto meno di fondare un collettivo di sette artisti che su un palco sarebbe diventato incontenibile. Il passaparola online iniziale,  l’entusiasmo dei fan, la nomination per il Mercury Music Prize, i video diventati virali, le parole di Noel Gallagher che definisce l’album “fottutamente grandioso”, porta il duo in poco tempo a mezzo milione di dischi venduti, promettenti carriere come DJ e un tour mondiale durato circa due anni.

Per la seconda prova il duo londinese si è spostato in California e con l’aiuto del giovane produttore Inflo ha elaborato 13 canzoni dall’impatto fortemente radiofonico ma che sapessero parlare anche di cose tristi come la fine di un amore.

TRACKLIST:

1. Smile

2. Heavy, California

3. Beat 54 (All Good Now)

4. Cherry

5. Happy Man

6. Casio

7. Mama Oh No

8. House In LA

9. Give Over

10. Cosurmyne

11. Home

12. (More and More) It Ain’t Easy

13. Pray

Così ne parla Rockol

Il debutto dei Jungle nel 2014 è stato uno dei più scintillanti e folgoranti degli ultimi anni: il loro disco eponimo era un brillante flusso sonoro che univa falsetto e funk, neo-soul e groove. Solo dopo si è scoperto che dietro questa iniezione di gioia danzereccia c’erano due amici di Shepherd’s Bush, Josh ‘J’ Lloyd-Watson e Tom ‘T’ McFarland, a cui sono seguiti mezzo milione di dischi venduti, una candidature al prestigioso Mercury Prize e due anni di fortunato world tour passato anche dall’Italia.
C’erano quindi tutte le condizioni per fare il grande passo, ovvero registrare il disco a Los Angeles, luogo eletto per quel suono. Quindi si trasferiscono lì, ma nel frattempo per entrambi i musicisti arrivano le separazioni con i rispettivi partner e tutto questo va a influire pesantemente sulla produzione del disco che rimane in una fase di stallo, al punto che sono costretti a tornare a Londra per finire di registrare un disco con l’ausilio di un produttore (Inflo) che li faccia uscire dall’empasse. Una buona parte delle canzoni di questo “For ever” ha il groove classico dei Jungle ma i testi parlano di cuori spezzati e perdite, disperazione e rimpianto.  “Heavy, California” dietro la superficie dance nasconde una senso di vulnerabilità; sopra il beat minimal di “Cherry” si sente cantare ripetutamente “Non mi cambierai mai, stavo già cambiando”,;  “Happy man” inizia con “Sono un uomo problematico / Cambiato dalle cose che faccio” e poi continua con “Comprati un sogno / E non significherà nulla” rinnovando il racconto delle illusioni perdute  della California. Ma come spesso avviene nei migliori dischi pop questo contrasto tra musica e testi, porta a un risultato eccellente.

Ogni tanto anche il ritmo cambia: ecco quindi gli archi cinematici di “Pray” e le noti struggente di un pianoforte polveroso in “Cosurmyne” e il groove di “Beat 54 (All good now)” che trasforma il malinconico rimpianto per l’amore perduto in una canzone calda e solare. E così alla fine anche questo “For ever” in tutte le sue  traversie al di qua e al di là dell’oceano, ci regala 13 canzoni magari meno da party ma di certo più ricche e profonde.

Questa la recensione di Sentireascoltare

Quattro anni fa, ai tempi di Random Access Memories dei Daft Punk, sembrava che il disco d’esordio (e pure omonimo) dei Jungle fosse un prodotto con tutti gli ingranaggi a posto, ma anche una mossa furbetta per scalare le chart alla maniera dei colleghi francesi. Il duo inglese strizzava prepotentemente l’occhio tanto al funk quanto al soul, in una confezione tremendamente neo-tutto che faceva del flirt con l’elettronica il proprio tratto distintivo. De Stefano, non a caso, parlava così di Jungle sulle nostre pagine: «Jungle è oggi l’ennesimo esperimento di rivitalizzazione dello storico R&B che ha dato i suoi frutti in passato e che continuerà a farlo anche nei decenni a venire … ma a pensarci bene potrebbe essere soltanto la retromania che sposa il business».

Cosa aspettarsi dunque da un nuovo album della formazione, oggi che la stessa retromania è diventata quasi un dogma da rispettare e la maggior parte delle produzioni non riesce a scrollarsi di dosso tale fardello? Ad un primissimo play, Josh Lloyd-Watson e Tom McFarland (ai quali dal vivo si uniscono altri cinque musicisti) sembrano puntare dritti allo stesso tipo di sound: falsetti, groove ammiccante, sample. Ma andando più a fondo si scopre che qualcosa di nuovo è dietro l’angolo. Il concetto di California Dreamin’, ad esempio, preponderante lungo l’intero lotto di canzoni è tanto solare quanto straniante. Basti pensare a brani come House in L.A. o Give Over che uniscono il miraggio simbolico della Bay Area a un sentimento di fine e irraggiungibilità («You and I are so much older», «In sunset boulevard I need her») o alla succosa Heavy California, che, tra Childish Gambino e i The Avalanches, gioca sulla dicotomia I will love you / can’t afford you. Questi sentimenti contrastanti rendono complesso un album che racconta delle separazioni personali dei due componenti della band, giocando meno sul colpo ad effetto (nonostante picchi come la ronsoniana Happy man e Beat 54) e più sul risultato globale.

L’RnB risulta stavolta rivitalizzato in maniera più solida e ragionata e gli Earth Wind and Fire e la Motown possono godere dei giusti omaggi senza grossi scivoloni. Rispetto all’esordio, i Jungle indossano lo stesso vestito, ma in una guisa meno sardonica e più riflessiva. Per una band che rischia di pagare a vita la riconoscibilità del proprio sound, questo è il primo passo verso una futuribile indipendenza.

 

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