I dati diffusi dalla CNA che chiede anche per la meccanica deroghe alle norme UE per rinegoziare i debiti e un intervento politico ben diverso da quello fino ad oggi riservato al comparto moda
Dopo la moda anche la meccanica: nell’area della città metropolitana fiorentina i dati sull’economia acquisiscono un altro elemento di preoccupazione: meno 50/55% rispetto ad un anno fa per le commesse del comparto delle officine meccaniche di precisione (produzione parti meccaniche a disegno, bulloneria, minuteria meccanica e altre componenti), meno 80% per quelle della meccanica applicata alla moda (produzione di accessori metallici come fibbie, bottoni, catene e altre componenti) e, molto inaspettatamente, anche meno 20% per quelle del comparto meccanico a servizio del settore medicale.
A completare il quadro, lo stop degli ordinativi per le grandi carpenterie, che, in mancanza di nuovi contratti, da ottobre, “saranno costrette a ricorrere alla cassa integrazione per circa la metà dei loro dipendenti. In sintesi, si tratta dell’inizio di una crisi che, nella Metrocittà, sta risparmiando solo le aziende che collaborano con Leonardo Spa e Nuova Pignone” afferma Massimiliano Martelli, presidente di CNA Meccanica per la Città Metropolitana di Firenze.
E siamo solo agli inizi in quanto a breve, secondo i timori della CNA, il settore della meccanica fiorentina è destinato a essere investito da uno tsunami non appena gli effetti della crisi dei più grossi gruppi automobilistici europei (Stellantis, Audi, Volkswagen) si faranno sentire sulle imprese toscane che lavorano per automotive e agricolo (rimorchi trattori e componenti). Un comparto, al 50% artigiano che a Firenze conta, globalmente, 2.574 imprese (2° trimestre 2024), in diminuzione rispetto ad un anno fa del 3% e addirittura del 18% rispetto a dieci anni fa.
Ed è proprio l’artigianato a soffrire di più, come attestato dai dati Ebret sulla cassa integrazione, cui sono ricorse, nei primi 7 mesi del 2024, 100 aziende, per un totale di 628 dipendenti coinvolti e di 97.386 ore, per un importo globale di 1.010.870 euro. Rispetto all’anno precedente le imprese che sono ricorse alla Cassa sono dunque raddoppiate (erano 54), idem i dipendenti coinvolti (erano 319), mentre le ore cassa integrazione globali sono cresciute del 153% (erano 38.460) e la spesa è aumentata del 159% (era di 390.566 euro). Per lo stesso periodo temporale Federmeccanica ha invece reso noto che le ore di Cassa Integrazione Guadagni dell’industria sono cresciute, a livello nazionale, “solo” del 38,4%.
Le cause? “Molteplici – spiega Francesco Fossi, coordinatore di CNA Meccanica Firenze – L’impennata dei costi energetici che, rendendo non competitive le aziende energivore, ne ha ridotto gli ordini al comparto; le tensioni geopolitiche globali che impattano negativamente sul commercio mondiale e l’export; l’incremento di dazi e costi di trasporto; le difficoltà di reperimento di manodopera qualificata”.
“Riuscire ad individuare soluzioni in un periodo di crisi economica, che è la somma di problemi che vengono da lontano, almeno dal 2020 pandemico, non è semplice. Tanto più in un contesto dominato da conflitti e tensioni internazionali, in cui l’inflazione, a due cifre, è schizzata al 20% e in cui tutti i costi sono aumentati, da quelli energetici a quello del denaro, tanto che, negli ultimi dodici mesi, l’Euribor è passato da 1 a 4.75% – commenta Giacomo Cioni, presidente di CNA Firenze Metropolitana – Una possibile soluzione, già sperimentata in periodo Covid, è quella di richiedere all’Europa, una deroga temporale alle norme attuali, un Temporary Framework che consenta al sistema bancario di rinegoziare, senza per questo incorrere in maggior costi, il debito delle imprese, allungando la durata dei finanziamenti in essere e dunque riducendone l’importo rateale”.
In aggiunta Martelli suggerisce: “la proroga al 2045 dello stop europeo ai motori endotermici; la creazione di garanzie, gratuite, straordinarie per le imprese che hanno effettuato investimenti che non prevedono la sospensione dei pagamenti; aiuti concreti e tempestivi da parte del livello politico, ben diversi da quelli, quasi insistenti, riservati ad oggi al comparto moda”.
“La cassa integrazione – prosegue Martelli – è una non soluzione. Non si possono lasciare a casa persone a 800 euro al mese. Il rischio è anche quello che cerchino altrove: non a caso cominciano a tornare sul mercato figure fino ad un anno fa introvabili, come fresatori, tornitori, conduttori di macchine a controllo numerico. Il rischio ancora maggiore, però, è che, vista la situazione di crisi quasi generalizzata, cerchino al di fuori del comparto, svuotandolo così di competenze e know out”.