Un Pirandello modernizzato che riflette sul significato della pazzia e sul rapporto tra personaggio e persona, per la regia ed interpretazione di Carlo Cecchi
Le maschere, la follia e il teatro nel teatro. Al Teatro della Pergola di Firenze, da martedì 12 a domenica 17 dicembre, Carlo Cecchi è Enrico IV nell’omonima opera di Luigi Pirandello, un innovativo studio sul significato della pazzia e sul rapporto, complesso e inestricabile, tra personaggio e persona, finzione e verità.
“Tutte le volte che ho fatto Pirandello si sono scatenate polemiche – afferma Carlo Cecchi, che ha anche adattato e diretto il testo – ci faccio poco caso: trovo che sia giusto ridare nuova vita a un classico. In questo caso, non è la commozione cerebrale che rende folle Enrico IV, ma il teatro. Sceglie il teatro, perché il mondo che vede non gli piace. Il nostro spettacolo, poi, è un atto unico, non tre, ed è collettivo: tagliando la parte dell’imperatore ecco che le altre si evidenziano, acquistando maggior peso”.
Con Carlo Cecchi condividono il palcoscenico Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, dando nuova linfa a una pietra miliare del teatro pirandelliano, dato che porta in scena i grandi temi dell’identità e del rapporto tra forma e vita, sullo sfondo della contraddittorietà tragicomica della nostra esistenza.
Dopo i memorabili allestimenti de L’Uomo, la bestia e la virtù (in scena nel 1976 con innumerevoli riprese fino all’edizione televisiva del 1991) e Sei personaggi in cerca d’autore (quattro stagioni di tournée teatrale in Italia e all’estero dal 2001 al 2005), Carlo Cecchi torna a Pirandello nel 150° anniversario della nascita con uno dei testi più noti e rappresentati del drammaturgo siciliano: Enrico IV. Al Teatro della Pergola di Firenze da martedì 12 a domenica 17 dicembre. In scena ci sono anche Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, con Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella. Una produzione Marche Teatro.
“Con Pirandello – dice Carlo Cecchi – ho un rapporto doppio: lo considero, come tutti, il più grande autore italiano. E anche il più insopportabile. Ma Pirandello è un punto focale, un nodo centrale nella tradizione del teatro italiano e va affrontato col rispetto che gli si deve”.
La critica, nell’applaudire Cecchi regista e interprete di Pirandello, sottolinea come la modernità, la freschezza e l’essenzialità siano caratteristiche fondamentali del suo teatro e come Cecchi sia capace di creare spettacoli acuti e sorprendentemente ironici, di folgorante semplicità. Su Enrico IV l’artista è intervenuto sul testo in maniera molto più radicale delle altre volte, arrivando a modificarne addirittura il senso.
Spiega lo stesso Carlo Cecchi: “Enrico IV fu scritto nel 1921 per Ruggero Ruggeri, il Grande Attore del primo Novecento. Dopo di lui, molti altri Grandi Attori si sono cimentati con questo monumento alla Grandattorialità. Prima di tutto ho ridotto drasticamente molte delle lunghissime battute del Grande Attore; conseguentemente gli altri personaggi acquistano un rilievo che spesso, soverchiati dal peso delle battute del protagonista, rischiano di perdere. In alcuni dialoghi ho ‘tradotto’ la lingua dell’originale in una lingua teatrale a noi più vicina. E ho fatto della follia e della recita della follia di Enrico IV, che nell’originale ha una causa clinica un po’ banale, una decisione dettata da una sorta di vocazione teatrale: non per nulla, il teatro, il teatro nel teatro e il teatro del teatro, sono il vero tema di questo spettacolo”.
Lo spettacolo narra la vicenda di un uomo, un nobile dei primi del Novecento, che da vent’anni vive chiuso in casa vestendo i panni dell’imperatore Enrico IV di Germania (vissuto nell’XI secolo), prima per vera pazzia, poi per simulazione e infine per drammatica costrizione. L’amarezza vibrante di questa tragedia porta a un risultato di limpida bellezza, a una catarsi vera e propria; forse in Enrico IV, più che in altre tragedie, il pirandellismo vince i suoi schemi e attinge a una tensione interiore davvero universale. Non a caso, infatti, Pirandello non svela mai il vero nome del personaggio di Enrico IV, che finisce vittima dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno.
“Ho alleggerito, modernizzato, molto tagliato, ho cercato di dare a Pirandello – precisa l’attore e regista – un linguaggio da teatro più contemporaneo. Nulla è sparito, solo i lunghi monologhi sono ridotti in maniera estrema. Il bellissimo discorso di Enrico IV sulla pazzia è ovviamente rimasto. Così come tutti i personaggi. Peraltro, quando ci si allontana troppo dal testo uno dei quattro servitori ha il compito di rettificare. Dice: “No, Maestà”. E ricorda l’originale pirandelliano”.
Dunque, l’Enrico IV di Caro Cecchi sceglie di rimanere pazzo, si sveglia dopo l’incidente, osserva il mondo orrendo che gli sta intorno e capisce di non poterne fare parte. Meglio fingersi folle e continuare a recitare il personaggio di Enrico IV che interpretava durante la cavalcata in costume, nella quale viene sbalzato da cavallo, battendo la testa. Tutti lo prendono per pazzo. Allora capisce che esserlo gli conviene: si impone una continua rappresentazione. Cancella la vita, sceglie il teatro.
“Per il teatro, dentro il teatro, impazzisce – conclude Cecchi – Enrico IV non ha scampo, continua a fare quella recita che dapprima è una tragedia. Poi, quando l’identificazione con il personaggio è assoluta, da tragedia diventa farsa”.
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Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30
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