Giuseppe Gulotta, vittima di un errore giudiziario per l’omicidio di due giovani carabinieri della caserma di Alcamo Marina nel gennaio del 1976, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria. Oggi chiede 66 milioni di risarcimento.
Oggi, Giuseppe Gulotta, riconosciuto innocente ha depositato, assieme ai suoi legali, presso il tribunale di Firenze, gli atti per chiedere 66 milioni di euro di risarcimento. L’uomo, oggi 60enne, è stato vittima del più grosso errore giudiziario della storia d’Italia. Era 1976 e Gulotta faceva il muratore e da poco aveva fatto domanda per entrare nella Guardia di Finanza. Il 13 febbraio di quell’anno venne prelevato dai carabinieri, portato in caserma, legato mani e piedi a una sedia, picchiato, minacciato di morte con una pistola che gli graffiava le guance. Botte e insulti. Così per dieci ore finché “sporco di sangue, lacrime, bava, pipì” si rassegnò a confessare quello che gli urlavano i carabinieri, pur di porre fine a quell’incubo.
Ci sono voluti molti anni affinchè Gulotta potesse dimostrare la sua innocenza nel processo di revisione che si è svolto a reggio Calabria. Nel 2016, l’uomo, viene, finalmente assolto con un risarcimento di 6 milioni e mezzo: con una provvisionale (anticipo) di 500mila euro. Il processo si concluse esattamente 36 anni dopo, ovvero il 13 febbraio 2012.
Anche per i presunti complici, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, c’è stata piena assoluzione, esattamente il 20 luglio dello stesso anno in cui è stato scarcerato Gulotta. I due uomini erano però fuggiti in Brasile da 22 anni. E infine è stato celebrato il processo di revisione anche nei confronti di Giovanni Mandalà, morto in cella, disperato, nel 1998.
L’avvocato Baldassarre Lauria è intervenuto dopo la sentenza, sostenendo che ” è la prima volta che l’arma dei carabinieri viene citata per responsabilità penale. Il primo grave aspetto della vicenda è la responsabilità dello Stato è per non aver mai codificato il reato di tortura – prosegue l’avvocato – ed il secondo è quello che attiene agli atti di tortura posti in essere in una sede istituzionale (la caserma dei carabinieri) da personale appartenente all’Arma che ha generato un gravissimo errore giudiziario”.