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Fondazione Open: accolto il ricorso di Renzi contro i pm di Firenze

Matteo Renzi, sulle primarie PD

La Corte Costituzionale accoglie il ricorso di Matteo Renzi, presidente di Italia Viva, in merito all’inchiesta sulla Fondazione Open: “Il comportamento dei pm fiorentini è stato incostituzionale, perché i messaggi incriminati sono corrispondenza”

La Procura di Firenze non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp di Matteo Renzi, in quanto parlamentare,  o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso parlamentare e di terzi.

Con queste motivazioni, la Consulta  ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, in cui si contestava la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del sen. Renzi. Secondo il Senato tale comportamento sarebbe stato  in violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost. Con sentenza n.170 del 2023 (red. Franco Modugno)

La Corte ha dichiarato che tali messaggi “sono stati ritenuti riconducibili alla nozione di “corrispondenza”, costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce, come invece sostenuto dalla Procura, con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori”. La Corte non ha invece accolto il ricorso nella parte in cui veniva contestata l’acquisizione da parte della Procura, senza autorizzazione, dell’estratto del conto corrente personale del senatore Renzi, in quanto non era stato spedito dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie provenienti da uffici della Banca d’Italia. (ANSA).

Già dalla prima udienza del processo sul presunto uso della Fondazione Open come cassaforte del suo movimento politico, il senatore Matteo Renzi si espresse con furore contro la “persecuzione”attuata dai magistrati di Firenze ai danni della sua persona: “uno scandalo assoluto”.

Il processo ha permesso di chiarire questioni fondamentali, in particolare quelle legate all’importanza del sistema del libero mandato elettivo, al concetto di ‘corrispondenza’ e, in generale quelli che nella retorica forense viene definito conflitto interorganico, cioè quello che si ingaggia tra articolazioni organizzative appartenenti al medesimo soggetto, lo Stato, appunto, e riguardano comportamenti,azioni, omissioni o atti lesivi delle attribuzioni costituzionalmente previste.

Il ricorso di Renzi, in questo senso, ha avuto in funzione della cosiddetta garanzia relativa alla corrispondenza, che copre la messaggistica istantanea dei parlamentari per tutto il tempo in cui essa conserva una propria attualità, forzando, quindi, il declassamento immediato di tali messaggi. Tale situazione, ha affermato la Corte Costituzionale, “avrebbe scardinato l’equilibrio tra i poteri”.

Stefano Ceccanti, Professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato Università Roma La Sapienza, ha proposto un interessante parallelismo: “La sentenza e le sue motivazioni di oggi sono pertanto di un’importanza comparabile a quelle con cui la medesima Corte diede ragione al ricorso del Quirinale contro la procura di Palermo a proposito dell’utilizzabilità di alcune telefonate del Presidente Napolitano, menomando le prerogative della Presidenza della Repubblica. Come allora per il Capo dello Stato così oggi per i parlamentari la Corte difende l’equilibrio tra i poteri, li difende doverosamente, come essa recita testualmente da “condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione” della propria attività”.

A riguardo si è espresso anche Francesco Bonifazi, deputato di Italia Viva, che su Twitter ha commentato: “Oggi la Consulta ha stabilito che il comportamento dei pm fiorentini è stato incostituzionale, perché messaggi whatsapp ed e-mail sono corrispondenza, come era chiaro ed evidente”. Ma nonostante ciò, aggiunge, “la fiducia nella giustizia non deve mai venir meno, anche quando, come nel caso della assurda inchiesta di Open, viene messa a dura prova”.

Sulla stessa onda anche Ivan Scalfarotto, senatore di Azione-Italia viva, che ha commentato: “La decisione della Corte costituzionale che ha dato ragione a Matteo Renzi e al Senato della Repubblica stabilendo che la posta elettronica e i messaggi Whatsapp di un parlamentare sono corrispondenza esattamente come le lettere cartacee si limita a certificare un’ovvietà. Siamo in questo secolo: la posta elettronica è posta, non ci voleva certo la Corte costituzionale per stabilirlo”. E nota, inoltre: “Quello che fa specie è che i pm di Firenze potessero pensare in buona fede il contrario, e dice molto del metodo seguito in questa indagine. Per fortuna, in questo nostro Paese esistono ancora il diritto e il buon senso”

 

 

 

 

 

 

 

 

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