Il provvedimento, disposto dal tribunale di Firenze, fa seguito ai sequestri eseguiti tra il 2019 e il 2020 dei beni dello stesso imprenditore nell’ambito dell’operazione Vello D’Oro
I finanzieri del comando provinciale della Guardia di finanza di Firenze hanno dato esecuzione a un decreto di confisca antimafia del valore di oltre 2 milioni di euro nei confronti di un imprenditore cinquantenne, di origini calabresi e domiciliato nell’Empolese (Firenze).
Il provvedimento, disposto dal tribunale di Firenze, fa seguito ai sequestri eseguiti tra il 2019 e il 2020 dei beni dello stesso imprenditore, destinatario di misure di prevenzione patrimoniale nell’ambito di un’indagine nata dall’operazione ‘Vello d’Oro’, coordinata dalla Procura della Repubblica di Firenze e condotta da Gdf e carabinieri.
Nel febbraio 2018 aveva portato all’arresto di 14 persone tra la Calabria e la Toscana, per reati che vanno dall’associazione per delinquere all’estorsione, dal sequestro di persona all’usura, dal riciclaggio all’abusiva attività finanziaria, dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti al trasferimento fraudolento di valori, anche con l’aggravante del metodo mafioso.
A seguito delle indagini svolte dal nucleo di polizia economico-finanziaria delle fiamme gialle fiorentine nei confronti dell’imprenditore, sarebbe emersa, spiega una nota, “sia la condizione della pericolosità sociale del predetto imprenditore, gravemente indiziato dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio, sia una forte sproporzione tra il valore dei beni di cui aveva la disponibilità, anche per interposta persona e il reddito dal medesimo dichiarato”.
L’attività del 2019 traeva origine dall’operazione ‘Vello d’Oro’ che nel 2018 aveva portato all’arresto di 14 persone tra Calabria e Toscana, per una serie di gravi reati condotti anche con l’aggravante del metodo mafioso (associazione per delinquere, estorsione, usura, riciclaggio, attività finanziaria abusiva e altri contestati a vario titolo).
Nell’ambito dell’indagine, era stato ricostruito un sistema, volto, da un lato, a riciclare i soldi illecitamente acquisiti da due consorterie criminali calabresi e una campana e, dall’altro, a creare riserve occulte di contante presso aziende toscane. Al tempo, erano state attenzionate alcune società riconducibili all’imprenditore, che avevano veicolato i capitali in raccordo tra quelle coinvolte e un sodalizio contiguo alle famiglie ‘ndranghetiste dei Barbaro e dei Nirta, nonché soggetti collegati al clan camorristico Lo Russo.