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ToscanaCronaca🎧 Giani: prepareremo ricorso per risarcimenti strage Padule Fucecchio

🎧 Giani: prepareremo ricorso per risarcimenti strage Padule Fucecchio

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🎧 Giani: prepareremo ricorso per risarcimenti strage Padule Fucecchio
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Il presidente della Giunta Regionale, Eugenio Giani, ai nostri microfoni: quella del  Padule di Fucecchio fu una  strage efferata e di rara cattiveria, giusta richiesta di risarcimento avanzata dai parenti delle vittime, vedremo come istruire la pratica

“Faccio volentieri mia la richiesta di superstiti e familiari delle stragi naziste avvenute in Toscana; daremo vita a un’azione comune fondata proprio sulla lettera aperta di Lazzerini”. Così Eugenio Giani, destinatario di una lettera aperta da parte di superstiti ed eredi di stragi naziste per il tramite di Lido Lazzerini, sopravvissuto alla strage di Mommio di Fivizzano (Massa Carrara) del 4 e 5 maggio 1944.  La lettera chiede al presidente della Toscana “attenzione alla domanda di giustizia “per le vittime degli eccidi compiuti dai nazisti nella Seconda guerra mondiale e per i deportati, per ottenere un processo civile alla Germania”. Lazzerini è intervenuto alla vigilia della strage del 23 agosto 1944 al Padule di Fucecchio (Firenze) di cui domani ricorre il 77/o anniversario. Ricordati i precedenti passaggi con la giunta regionale presieduta da Enrico Rossi circa la possibilità di promuovere un processo civile nei confronti della Germania. “Trovo doveroso – conclude – che vittime o familiari abbiano risposta dalla Regione e ritengo giusto tentare ogni strada possibile”.

L’eccidio del Padule di Fucecchio

l 23 agosto 1944 alcuni reparti dell’esercito nazista massacrarono indiscriminatamente, con metodi da guerra e di artiglieria pesante, 174 civili, fra cui neonati e anziani, all’interno del Padule di Fucecchio, fra le province di Pistoia e di Firenze, colpendo nei comuni di Monsummano Terme (frazione di Cintolese), Larciano (frazione di Castelmartini), Ponte Buggianese, Cerreto Guidi (frazione di Stabbia) e Fucecchio (frazioni di Querce e di Masserella).

Iniziamo con alcune premesse. Durante quella terribile estate l’estremità meridionale del Padule distava appena cinque chilometri dalla linea del fronte sull’Arno, stabilitosi là dal 18 luglio e conservatosi fino alla fine di agosto: gli angloamericani stavano aspettando il momento giusto per sferrare l’attacco alla linea Gotica.

In quel periodo all’interno del Padule si erano stabiliti numerosi gruppi di sfollati e contadini che tentavano di sfuggire ai quotidiani rastrellamenti tedeschi e alle cannonate alleate, sparate per colpire obiettivi militari ma che finirono per uccidere diversi civili. La fitta vegetazione, non tagliata quell’estate, offriva riparo a uomini e donne; inoltre per la sua posizione, lontano dalle vie principali e dai centri abitati, era esente da possibili bombardamenti e combattimenti.

In Padule era stimata da parte nazista una presenza di partigiani nell’ordine delle 200-300 unità, almeno così hanno testimoniato gli ufficiali nei successivi processi, ma in realtà l’unica formazione partigiana nelle vicinanze era la “Silvano Fedi” di Ponte Buggianese, comandata da Aristide Benedetti, che poteva contare su circa 30 elementi, attiva in zone limitrofe al Padule. Importanti squadre resistenti si trovavano principalmente sul Montalbano, nelle zone collinari e sull’appennino pistoiese. Alcuni attacchi c’erano stati fra i partigiani di Benedetti e i nazisti, tuttavia senza causare uccisioni di soldati nazisti nella settimana precedente. I tedeschi volevano proteggere le vie di fuga, sopravvalutarono la presenza partigiana ed emanarono un comando preciso di far terra bruciata e di liberare tutta la zona, massacrando ogni presenza umana per favorire la ritirata a nord delle truppe che si sarebbero stabilite sulla Linea Gotica.

L’operazione iniziò all’alba e si attenuò prima dell’ora di pranzo; l’area fu delimitata a est dalla strada statale 436 che portava a Monsummano, a sud dalla confluenza fra il canale del Capannone e il canale del Terzo, a ovest dalle Cerbaie e a nord dalla linea che andava dall’Anchione alla capanna Borghese.

L’ordine impartito dal colonnello Crasemann fu chiaro: “Vernichten”, ovvero annientare. Fu poi il capitano Joseph Strauch a condurre l’azione sul campo e a istruire i tenenti delle varie unità operative. L’eccidio si consumò “in gronda”, cioè ai bordi del Padule dove era sfollata la maggior parte della popolazione, poiché i reparti nazisti non giunsero mai nel centro di esso, temendo eventuali ma inesistenti attacchi partigiani.

Fra gli episodi più drammatici e tristi ricordiamo quello di Maria Faustina Arinci, detta Carmela, di 92 anni sorda e cieca, fatta esplodere con una bomba a mano infilata in una tasca del grembiule e quello di Maria Malucchi, la più piccola, trucidata all’età di 4 mesi.

Tutte le vittime furono ritrovate durante la stessa giornata o nel corso della notte fra il 23 e il 24 dai familiari o dai parroci dei paesi; vennero trasportati con ogni mezzo, fra cui barroccini e carretti, sepolti in maniera inadeguata in casse costruite in fretta con semplici assi di legno, oppure seppelliti avvolti nelle coperte. In alcuni casi furono gli stessi tedeschi a portare via i caduti con dei camion, scaricandoli e ammassandoli in un primo momento in fosse comuni.

Un aspetto non secondario fu rilevante in quelle ore, ovvero l’aiuto di collaborazionisti italiani. Fascisti locali furono riconosciuti nelle varie località (per approfondire visita la sezione I Fascisti)

La sera del 23, mentre le famiglie piangevano i propri defunti, i nazisti festeggiavano sia a Ponte Buggianese che a Larciano e, fra canti e risate, gridavano: “Vittoria, partigiani tutti kaputt”.