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L’editoriale di oggi Domenico Guarino. La rubrica va in onda tutte le mattine alle 8.10 nella trasmissione 30 Minuti su Controradio.
Accanirsi contro un corpo inerme fino a vederlo schiantare. Percuoterlo con pugni, botte, calci nel viso anche quando è già a terra. Sentirlo implorare pietà, basta, e continuare a colprlo, fino all’ultimo respiro. Ci vuole una forza incredibile, una convinzione cieca, per uccidere un uomo in questo modo. Bisogna credere che quell’essere che si dimena davanti a te, che striscia, che suda sangue e biascica parole, non faccia parte della tua razza. Sia un essere inferiore che si può ed anche si deve eliminare. Perché è diverso e dunque inferiore. E’ puro nazismo.
La violenza ha delle ragioni che la ragione non conosce, potremmo dire parafrasando Pascal. In una società in cui la cultura si è fatta elite, in cui la trasmissIone del sapere non genera più aspettative di ascesa sociale in cui l’intelligenza si è fatta furbizia, e l’onestà è roba per deboli falliti, il linguaggio della violenza diventa la riposta per vite vissute pericolosamente ai margini.
Gli assassini di Colleferro sono i figli di una società disgregata in cui non esiste più un collante che non sia la sopraffazione. Dove l’impossibilità di uscire dal ghetto, in un mondo in cui la fama, la ricchezza, il potere sono diventate l’unica ragione di vita, e l’unico modello da inseguire, fomenta il culto della violenza fine a sé stessa come unico strumento di identità e di affermazione individuale e collettiva .
Laddove il collettivo è essenzialmente il gruppo, il clan di appartenenza. “Difendi la tua famiglia” aveva tatuato sul ventre uno dei fratelli Bianchi che ha ucciso Willy Duarte. Una società monadizzata, dove i legami di sangue e di affiliazione, paramafiosa, i rituali bellici, i simboli marziali, il linguaggio e le idee della destra estrema, rappresentano il codice di riferimento per vite che hanno imparato a non fidarsi di nulla se non della sopraffazione.
A Colleferro, con Willy, che cercava tra i banchi la sua forma di riscatto, è morto un modello di società fondato sul welfare, sull’istruzione, sulla solidarietà. Ma non è morto l’altro giorno. La sua agonia dura da tempo. E solo un’impresa di cui non vediamo la consapevolezza potrebbe riportarlo in vita.