Il problema oggi non è inseguire un passato che (giustamente) non tornerà, ma immaginare il futuro incidendo sul presente. Tutte cose che l’atteggiamento conservatore rende impraticabili. Condannandoci a subire gli eventi. E dunque, questa volta sì, al ‘degrado’.
A Firenze, negli ultimi tempi, la discussione sul ‘degrado’ è tornata prepotentemente di moda. Da una parte chi sostiene la teoria di una città in preda ad un declino inesorabile, dall’altra chi ne sottolinea gli elementi positivi. Non nego di ascrivermi con convinzione al secondo partito. Pur non disconoscendo gli elementi di problematicità che, ad esempio, l’assalto del turismo di massa determina sulla qualità della vita di tutti noi, e pur non sottovalutando la questione della sicurezza che comincia (o forse sarebbe meglio dire ‘continua’) a farsi sentire in maniera problematica, sono tra quelli che ritengono Firenze una città certamente non pefretta ma che non può essere descitta come in preda ad un degrado costante, se non a patto di scadere nel grottesco e nel ridicolo.
I fautori della prima tesi tendono a riproporre immagini edulcorate di un passato più o meno recente (o più o meno remoto) contrapponendolo alle brutture della contemporaneità.
Tuttavia, anche ad un’analisi superficiale, la suggestone dei ‘bei tempi andati’ -che, per inciso, esiste da sempre (cfr. a proposito le bellissime pagine di Cicerone ad esempio, o anche di Machiavelli)- appare quello che è in effetti: il nostro modo di ‘difenderci’ dai cambiamenti che non capiamo nè comprendiamoa. Per questo è un approccio sbagliato nel merito e nel metodo, al punto che, attraverso il processo di memoria selettiva, ci fa ricordare solo le cose belle, creando un’immagine artefatta di noi e dei contesti. I ‘meravigliosi anni ’80’ (in cui si spacciava sotto il colonnato degli Uffizi, il tasso di omicidi e violenze era molto maggiore dell’attuale, le strade erano, allora sì, mediamente sporche, e le macchine sfrecciavano sotto la Cupola del Duomo annerendo i marmi del Battistero); oppure il ‘Rinascimento’ (epoca per lo più destoricizzata e resa mitologica nel racconto della finzione memorialistica, in cui, per dirla con tutti i testimoni dell’epoca, Frienze era una città sporca, con scarsa igiene, pericolosa, e affollata). Insomma, i riferimenti possono essere i più vari, ma il refrain è lo stesso: siamo in un periodo di grande decadimento.
La discussione sul degrado non è nient’alro che questo: la mitizzazione di un’età dell’oro che ognuno collaca in un periodo differente (spesso quello della propria infanzia o gioventù). Tutto legittimo, solo che “i bei tempi andati” sono una formula retorica comoda e falsa. Al punto tale che prosegue immutata da decenni. Un ‘topos’ in cui ci attardiamo, che non ci fa sfruttare le potenzialità del contemporaneo, e ci condanna alla falsità. Penso ad esempio alla discussione oramai suchevole sulla ‘Disneyland del Rinascimento’: se ne parla da 20 anni e non si comprende che proprio la preservazione di non si sa quale identità condanna Firenze a diventare sempre pù una quinta turistica immobile a sè stessa, ripudiando qualsiasi ipotesi di progresso.
Detto che comunque vivere in un quinta turistica è bello è suggestivo, e dunque non disperzzabile, il problema oggi non è inseguire un passato che (giustamente) non tornerà, ma immaginare il futuro incidendo sul presente. Tutte cose che l’atteggiamento conservatore, quello che rimpiange ‘i bei tempi andati’ rende impraticabili. Condannandoci a subire gli eventi. E dunque, questa volta sì, al ‘degrado’.
DOMENICO GUARINO