“Proteggere tutti i lavoratori ma non tutte le imprese”, ha detto il premier Mario Draghi in Aula al Senato, riferendosi a quelle imprese che vengono comunemente chiamate ‘Imprese Zombie’.
In realtà la definizione di Aziende/Imprese Zombie, viene dal Giappone ai tempi dello scoppio della bolla speculativa a partire dagli anni Novanta, ma è tornata agli onori della cronaca dal dicembre scorso, da quando cioè il Gruppo dei 30, organizzazione di accademici e del Gotha della finanza internazionale, pubblicò un documento a firma di Mario Draghi insieme a Raghuram Rajan, nel quale viene proposto di classificare nel 2021 le imprese in cinque distinte classi, all’ultima di queste classi una di queste classi appartengono le cosiddette ‘Zombie firms’ o ‘Walking dead’, cioè le imprese insolventi ovvero le non economicamente sostenibili.
Queste imprese non sono né vive né morte, ma esistono in una specie limbo, attaccate a linee di credito concesse da banche disperate e, sarebbero tecnicamente fallite, se non fossero tenute in piedi per volontà dello Stato o, più spesso, delle stesse banche creditrici che, in caso di fallimento delle stesse, dovrebbero mettere a bilancio la perdita del capitale prestato e non più recuperabile, con ovvi effetti negativi sul loro stato patrimoniale.
La tesi della negatività di queste imprese sul sistema economico e della necessità della loro eliminazione sembra essere al momento anche da un punto di vista mediatico, quella prevalente, anche perché a suffragarla ci sono documenti come l’Economic Policy Paper n°21, Confronting the Zombies: Policies for Productivity Revival, pubblicato dall’Ocse lo scorso dicembre.
Correndo il rischio di una eccessiva semplificazione, si potrebbe riassumere quanto spiegato nel documento dicendo che le aziende moribonde sono dannose per almeno due ragioni principali.
Prima di tutto perché provocano un rallentamento della produttività e, conseguentemente della crescita economica, in quanto, operando in perdita, creano distorsioni del mercato, causando quello che in inglese viene definito “credit misallocation”, cioè lo sperpero di capitali che potrebbero essere invece impiegati più produttivamente, se allocati ad aziende sane.
Ed inoltre, fanno aumentare il costo del denaro, con il risultato che imprese più meritevoli devono spendere di più per finanziarsi.
Da quanto finora detto, e soprattutto da quanto scritto nel documento del Gruppo dei 30 co-firmato da Draghi lo scorso dicembre, in cui si spiegava che “non tutte le imprese in crisi dovrebbero ricevere supporto pubblico” e le risorse “non dovrebbero essere sprecate per aziende destinate al fallimento” bensì mirate a favorire la “distruzione creatrice”, la scelta del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri sarà quella di intervenire per determinare o il cambiamento nel modello di business delle Imprese Zombie oppure di lasciare che chiudano.
“Sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”, ha detto Draghi in uno dei passaggi delle sue comunicazioni in aula al Senato in occasione della richiesta di fiducia.
Oggi in Toscana, secondo l’ultima indagine semestrale condotta da Format Research per Confcommercio Toscana, che registra un crollo dei ricavi con un -60% per turismo e pubblici esercizi, solo nel terziario sono 7.500 le ‘Imprese Zombie’, che sopravvivono solo grazie ai ristori, e che sono ad un passo dalla fine.