Non solo barriques di rovere. Grazie al progetto ToSca, ancora in corso, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze, insieme all’Università di Bordeaux, punta al recupero dei carati in legno di castagno toscano, utilizzato già nei primi del secolo scorso in viticoltura, per la conservazione e l’affinamento dei vini del nostro territorio. L’obiettivo è valorizzare ulteriormente il nettare toscano con nuove e particolari connotazioni identitarie e sviluppare la filiera.
Il vino toscano potrà avvalersi di nuove note particolari, identitarie del territorio, e questo grazie all’affinamento nei carati realizzati con legno di castagno, che nella prima metà del secolo scorso rappresentatva la naturale fonte di materia prima nella realizzazione dei contenitori per la conservazione del vino in Toscana. Un’orizzonte possibile e sempre più vicino grazie a un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze che, attraverso il progetto ToSca, vanno ad analizzare l’impatto del legno di castagno sulla qualità dei vini ottenuti dalle varietà autoctone della Toscana ottimizzando l’impiego del legno – sottoposto a diverse tostature -per l’affinamento dei vini rossi e la fermentazione e l’affinamento sur lies dei mosti dei vini bianchi. Con gli anni il cambiamento dell’assetto dell’agricoltura, il miglioramento e la modernizzazione delle pratiche enologiche e, infine, l’adozione di stili e gusti più internazionali, hanno portato gradualmente all’abbandono del castagno e all’introduzione dei contenitori in rovere.
A partire dal 2017, con il progetto preliminare PROVACI e con il successivo progetto ReViVal si è proposto di ricostituire la filiera legno-vino, introducendo competenze e innovazioni in tutte le fasi di realizzazione delle botti, o meglio del “Carato di castagno toscano”, dalla gestione forestale, alla produzione delle doghe e la loro stagionatura, fino alla fabbricazione delle botti e al loro uso in cantina.
“Il legno di castagno aveva la nomea di un legno che difettava i vini, in realtà abbiamo scoperto che erano erano difetti di processo lungo tutta la filiera di produzione”, dice Marco Mancini del DAGRI e membro della Fondazione per il clima e la sostenibilità. “Quando uscivano dalla botte di castagno, tuttavia, si sposavano i difetti con la cessione dei tannini, che hanno un connotato molto forte e quindi davano un’impressione di un vito non piacevole al palato. Dalle prime prove di riaffinamento, usando vini perfetti, abbiamo scoperto che hanno connotati molto particolari, molto intensi e con il tempo si arrotondano e creano condizioni per note davvero uniche. La nostra idea è che il produttore possa stagionare, accanto alla cantina, i segati di castagno locali per produrre un vino in cui tutti i sentori siano quelli del terroir, così che l’identità del territorio si esprima completamente nei suoi vari aspetti”.
“Il progetto ToSca è partito circa un anno fa ed è ancora in corso – spiega la responsabile scientifica, Valentina Canuti del DAGRI dell’Università di Firenze -, la prima parte ha riguardato proprio la produzione dei carati mentre da poco stiamo lavorando sull’affinamento dei vini, ad esempio del Sangiovese con carati con tre diversi livelli di tostatura, poi toccherà al Vermentino e al Trebbiano toscano. Andremo poi a testare volumi doppi dei carati, tutto nell’ottica di valorizzare i vitigni toscani. Cerchiamo di mettere insieme l’identità dei nostri vini con il profilo di stile ottenuto con il legno di castagno, così riunendo due filiere che da tempo non dialogavano più”. “Si tratta – ha concluso – di introdurre un legno diverso, un’essenza poco nota, anche all’estero, che dà impronte particoalri che possono offrire un valore aggiunto al vino toscano”.