Ven 22 Nov 2024
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ToscanaCronacaLicenziato per aver criticato l'azienda su Whatsapp: deve essere reintegrato

Licenziato per aver criticato l’azienda su Whatsapp: deve essere reintegrato

Il Tribunale del lavoro di Firenze ha disposto la reintegrazione dell’operaio dipendente di un’azienda di abbigliamento del Fiorentino, licenziato per aver offeso in una chat di gruppo su Whatsapp un suo superiore. Nella sentenza si dispone che un giudizio lesivo che non viene reso pubblico, non può essere lo strumento con il quale il datore di lavoro licenzia il dipendente, nonostante l’offesa.

L’operaio, contrariato per la promozione di altri suoi colleghi, aveva inviato un messaggio vocale in una chat Whatsapp che raggruppava alcuni di essi. Il messaggio è stato inviato da uno degli utenti della chat ai vertici aziendali che hanno disposto il suo licenziamento. Secondo l’azienda, l’operaio, con il suo comportamento, avrebbe fatto venir meno il rapporto di fiducia.
La sentenza del giudice del tribunale del lavoro ha stabilito che il controllo disciplinare dell’azienda non può spingersi alle comunicazioni private del lavoratore, disponendo il reintegro dell’operaio. Prendendo spunto da un orientamento della Corte di Cassazione, il magistrato ha distinto tra espressioni lesive diffuse attraverso canali pubblici e i canali privati. Richiamato l’articolo 15 della Costituzione, che definisce inviolabili la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
Il lavoratore dovrà ora decidere se accettare il reintegro o un indennizzo alternativo. L’uomo non aveva mai negato d’essere l’autore del messaggio vocale, precisando di aver insultato il superiore all’interno di una chat che conteneva una cerchia ristretta di persone. In virtù di questo elemento, il tribunale ha ritenuto che un giudizio non può essere costitutivo di motivo di licenziamento.
Dopo essere stato licenziato, trovando ingiusto il provvedimento, il lavoratore si era rivolto al sindacato Cisl di Prato ed è stato assistito legalmente dalla Femca Cisl. “Questa sentenza ha un valore straordinario perché sancisce il diritto alla privacy e disconnessione del lavoratore in un mondo del lavoro sempre più connesso”, spiega Mirko Zacchei, segretario della Femca Cisl di Prato.

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