Il sindacato: “Morti e incidenti gravi, il porto di Livorno e i suoi lavoratori e lavoratrici non possono piĂą sopportare. Serve un’inversione di tendenza, dobbiamo dire basta a questa scia di sangue”
 Dopo gli ultimi tragici avvenimenti, Cgil provincia di Livorno e categorie sottopongono all’attenzione di istituzioni locali e autoritĂ portuale un documento di 10 punti (“Sos Sicurezza in porto”) su cui chiedono di “aprire rapidamente un confronto e immediatamente dopo interventi pratici visibili condivisi”. “In tema di sicurezza sul lavoro serve una terapia choc: è arrivato il tempo di agire” dicono i sindacalisti.
Ecco le proposte
Sprint su Prg e zonizzazione Molti incidenti in porto sono legati alle croniche interferenze tra le diverse lavorazioni. Il Prg varato con non poco sforzo nel 2015 è poi rimasto fermo e non si è realizzato. L’interconnessione di traffici e operazioni fra loro diverse rendono alcune zone del porto una sorta di puzzle impazzito, con inevitabili contraccolpi in tema di sicurezza. Fondamentale dunque velocizzare l’attuazione della cosiddetta “zonizzazione” prevista dal Piano regolatore portuale e dai piani a esso connessi. Basta ad esempio interferenze tra passaggio di passeggeri e movimentazione merci di cui molte ingombranti e pericolose spostate con mezzi pesanti: ogni parte del porto dev’esser assegnata a traffici specifici. Tutti i responsabili e gli attori istituzionali e privati devono fare la propria parte.
Estendere il Protocollo sulla sicurezza a tutto l’ambito portuale Nel 2009 venne siglato a livello regionale il “Protocollo d’intesa per la pianificazione degli interventi sulla sicurezza del lavoro nei porti di Carrara, Livorno e Piombino”. Al tempo si trattò di un primo passo importante. Quell’intesa non ha però generato i frutti sperati. Senza contare che sono ad esempio anni che il comitato per l’igiene e la sicurezza non viene convocato: questo è inaccettabile. Chiediamo con fermezza che si rafforzi quel protocollo e che se ne estenda la validitĂ in favore di tutto l’ambito portuale: non solo dunque le imprese articolo 16, 17, 18 ma anche quelle realtĂ legate ad esempio al mondo metalmeccanico, chimico, del commercio e del turismo. In tal modo la platea dei lavoratori “protetti” dal protocollo raddoppierebbe fino a arrivare presumibilmente fino a quota 5mila. A livello locale sarebbe opportuno intraprendere un percorso che porti alla condivisione di un protocollo del mondo portuale a 360 gradi che includa in particolare – oltre alla sicurezza – la legalitĂ e il mondo degli appalti.
Carichi e ritmi di lavoro: no al far west Da parte delle autoritĂ competenti sarebbe opportuno un censimento degli addetti al fine di svolgere una maggior vigilanza sul rapporto tra avviamenti al lavoro e gli organici formalmente previsti in porto. La scarsitĂ di addetti genera aumento dei carichi e condizioni di lavoro diverse a paritĂ di prestazione. Servirebbero anche verifiche piĂą puntuali sui turni, sull’organizzazione del lavoro stabilita nei contratti integrativi, sul puntuale rispetto delle 11 ore di riposo previste dalla legge e sull’attuazione di orari “frammentati” fuori dal Ccnl dei porti. Carichi e ritmi di lavoro sono infatti estremamente connessi alla questione sicurezza.
Pugno duro sulle concessioni Auspichiamo che le autoritĂ competenti vigilino in maniera adeguata sui livelli di sicurezza garantiti dalle imprese autorizzate a lavorare in porto: fondamentale far rispettare requisiti stringenti, pena la sospensione dell’autorizzazione. Riflettori accesi anche su quei soggetti armatortiali che avanzano  iniziative di autoproduzione
Punto di primo soccorso: chi l’ha visto? All’interno del nostro scalo non è ancora stato realizzato in maniera strutturata un punto di primo soccorso per assistere i lavoratori infortunati o i passeggeri che transitano. Non possiamo attendere oltre: serve un passo in avanti concreto per realizzare una struttura adeguata stante anche la viabilitĂ critica che non consente certezze rispetto alla velocitĂ di intervento dei soccorsi
Investire su vigilanza e ispezioni Le normative per tutelare la sicurezza sui posti di lavoro ci sono, il problema è avere la forza per farle rispettare. Opportuno dunque incrementare il personale adibito alla vigilanza e alle ispezioni. Autorità di sistema portuale, Asl e Capitaneria di porto facciano la propria parte.
PiĂą poteri per i Responsabili per la sicurezza di sito All’interno del porto labronico sono 3 i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di sito (Rlss): a essi andrebbe conferita maggior “agibilitĂ ” per permetter loro una presenza costante. Le normative dovrebbero inoltre prevedere una connessione piĂą stretta con gli organi di vigilanza.
Formazione. Sul serio La formazione è imprescindibile per garantire un’accettabile livello di sicurezza. La formazione però non può essere solo uno slogan da sventolare: va fatta davvero e in maniera seria. Auspichiamo perciò verifiche pratiche sulla formazione impartita.
Tra grovigli e buche storiche La viabilitĂ all’interno del porto andrebbe maggiormente razionalizzata e regolata, alla luce anche della compresenza e del conseguente “intreccio” tra mezzi operativi, auto, moto e il recente boom del turismo ciclistico. Senza contare la presenza di tratti dissestati e pieni di buche (“storica” quella del 2008 sulla Fi-Pi-Li) che contribuiscono ad abbassare il livello di sicurezza: serve in tal senso un intervento.
No alla privatizzazione del porto La discussione a livello nazionale sul futuro degli scali ci preoccupa non poco. La progressiva privatizzazione dei porti aumenterebbe il livello di deregolamentazione del lavoro: sarebbe drammatico e a farne le spese, come sempre, sarebbero i lavoratori.