Secondo i pm Giuseppina Mione e Francesco Sottosanti la presunta associazione a delinquere, a fini di riciclaggio, avrebbe immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia
Si è conclusa con 29 persone rinviate a giudizio, 18 patteggiamenti, 3 condanne e un’assoluzione in abbreviato, l’udienza preliminare nata dalle indagini della Dda di Firenze a carico di presunti esponenti di un gruppo criminale che avrebbe riciclato i proventi illeciti di Cosa Nostra nell’economia toscana, in particolare nelle zone di Prato e Firenze. Secondo i pm Giuseppina Mione e Francesco Sottosanti la presunta associazione a delinquere avrebbe immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita,a fini di riciclaggio, attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale.
L’attività di riciclaggio del gruppo criminale avrebbe ‘ripulito’, anche attraverso l’emissione di fatture false, oltre 48 milioni di euro di proventi illeciti derivanti degli affari criminali della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia. I reati contestati dalla procura sono, a vario titolo, associazione per delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio, intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti d’identità e sostituzione di persona.
A processo, su disposizione del gup Silvia Romeo, va tra gli altri anche Francesco Paolo Clemente, 44 anni, residente in corso dei Mille a Palermo e arrestato nel corso delle indagini, considerato dagli inquirenti il punto di riferimento della presunta associazione a delinquere.
Nel corso delle indagini, guardia di finanza di Prato e Dda di Firenze hanno ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 mln provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla mafia. Scopo del presunto sodalizio criminale, sarebbe stato quello di riciclare, anche attraverso l’impiego di fatture
per operazioni inesistenti, i proventi criminali della cosca mafiosa di Corso dei Mille a Palermo, capeggiata da Pietro
Tagliavia, condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, e figlio di Francesco Tagliavia condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via de’
Georgofili a Firenze.
Le fatture inesistenti venivano emesse sia tra aziende interne al gruppo criminale, sia a favore di aziende ad esso estranee, che usufruendo del servizio illegale si garantivano vantaggi fiscali. Le imprese ‘sane’ versavano tramite bonifico alle cartiere facenti capo al gruppo criminale il corrispettivo degli importi falsamente fatturati (per consegne di pallets mai avvenute), che poi veniva restituito in contanti, decurtato del 10%.