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Metastasio: la nuova stagione per un Teatro pubblico

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La stagione 2018/2019 presenta 9 spettacoli al Metastasio, 7 al Fabbricone, 5 al Fabbrichino, mentre al Magnolfi verrà ripetuta la fortunata esperienza delle Piacevoli Conversazioni con 3 artisti e lo spettacolo del progetto Davanti al Pubblico. Complessivamente 22 spettacoli, di cui 13  nuove produzioni.

“Si tratta di una scelta coerente con il progetto triennale 2018/2020 dal titolo Per un teatro umano, preparato insieme a Massimiliano Civica, che si propone di fare del Metastasio il centro dei nuovi artisti, che possiamo considerare ormai maestri della scena italiana contemporanea, e di porre il nostro teatro in relazione con i più importanti teatri e festival internazionali e italiani”, ha affermato il direttore della Fondazione Franco D’Ippolito durante la presentazione di oggi al Museo Pretorio.

Tutte le info sul prossimo cartellone su www.metastasio.it

Di seguito l’intervento del consulente artistico Massimiliano Civica:

Il teatro è uno strumento di conoscenza dell’uomo attraverso l’uomo: è un libro sapienziale di storie e di racconti che, attraverso l’attore, si fanno corpo e voce davanti al pubblico. “Mettiti nei miei panni” chiede agli spettatori l’attore che sta recitando in scena, e quando ci mettiamo nei panni di qualcun altro e iniziamo a domandarci che faremmo al posto suo, ecco che nasce in noi una comprensione partecipe, empatica ed intrisa di perdono delle sue vicende, delle sue scelte, dei suoi dolori. Nessuno è razzista, egoista o cinico quando riesce a mettersi nei panni dei suoi simili. A teatro ci riconosciamo uomini, con tutti i nostri difetti, gesti di generosità e paure, e impariamo a comprenderci meglio, a perdonarci e provare compassione. Il Teatro è una delle forme più alte di umanesimo.
Questo è il teatro che alcuni di noi conoscono, che ci ha emozionati e divertiti. Lo conosciamo proprio perché l’abbiamo visto: abbiamo visto gli spettacoli di Danio Manfredini, Deflorian-Tagliarini, Anagoor, Roberto Latini, Oscar De Summa, Scimone/Sframeli, Babilonia Teatro, Claudio Morganti, Antonio Latella, Daniele Timpano e, fortunatamente, tanti altri ancora, vecchi e più giovani.
Ma nella percezione della media delle persone il teatro è solo noia. Direi, anzi, che è percepito, specialmente tra i più giovani, come il posto dove ci si annoia di più. Un luogo che sa di vecchio, pieno di tende e velluti, dove attori truccati troppo e male recitano in una maniera roboante ed enfatica storie che non ci riguardano minimamente. E solo quegli attori sul palco sembrano divertirsi e trovare divertenti le loro battute o credere che l’emozione che mostrano, gonfia e ‘strasottolineata’, possa emozionare gli spettatori. Andare a teatro per la maggioranza delle persone è fare un tuffo nell’800, vedere come agivano e parlavano i nonni dei nostri nonni, ascoltare storie tortuose di gente che si preoccupava di idee, principi e problemi oggi incomprensibili fino al ridicolo.
Personalmente non mi sento di smentire o criticare questa visione che la gente comune ha del teatro come qualcosa di ‘mortale’. Per esperienza comune è proprio quello che, la maggior parte delle volte, gli viene propinato. Anche gli spettatori più fedeli dei grandi teatri, gli abbonati (quelli che vanno a teatro per un sentito e genuino ‘obbligo’ culturale e sociale), richiesti di una risposta franca, probabilmente direbbero che la maggior parte delle volte, a teatro, si annoiano.

Di chi la colpa di questo stato delle cose? Anche di noi teatranti e direttori di teatro, della nostra inerzia e pigrizia mentale, del nostro tirare a campare, del ‘non voler problemi’ che ci porta ad accettare e lasciare le cose così come sono. Se il ‘popolo’ si accontenta, se gli va bene così, se è sempre andato bene così, perché rischiare e andare in cerca di guai? È difficile resistere alla tentazione di ormeggiarsi nel porto sicuro della mediocrità.
Con Franco D’Ippolito – che non ringrazierò mai abbastanza per avermi coinvolto nell’avventura pericolosa e splendida che sta portando avanti col MET – condividiamo la stessa idea su cosa debba essere un Teatro Pubblico. Perché lo Stato finanzia un teatro con soldi pubblici, con i soldi di noi tutti? Quale compito ci assegna insieme a quei soldi? Noi crediamo che lo Stato ci assegni il compito di scegliere gli spettacoli migliori, più coraggiosi, più culturalmente e umanamente avvincenti per i nostri spettatori. Lo Stato, attraverso gli spettacoli, ci chiede di far crescere umanamente, emotivamente e culturalmente i nostri spettatori, di contribuire a renderli cittadini migliori, più aperti e consapevoli, più compassionevoli, altruisti e felici.

Chi ricopre una funzione pubblica ha il dovere di essere migliore di quello che è, come uomo, nella sua vita. Chi governa – una regione, una città o un teatro – ha il dovere di essere migliore e più lungimirante dei cittadini che governa o dei suoi spettatori: ha il dovere di lottare per quei Valori che, al di là delle nostre meschinità e dei nostri opportunismi, sappiamo intimamente essere giusti. La responsabilità di ricevere soldi pubblici comporta il dovere di scegliere il meglio, e non ciò che conviene, di scegliere quello che è giusto, e non quello che non crea problemi. Chi dirige un teatro pubblico ha il dovere, in vista di un ‘superiore’ bene comune, di schierarsi e sostenere il teatro migliore, più ‘parlante’ ai nostri bisogni e paure di uomini di oggi; di supportare con coraggio anche il teatro più ‘difficile’, se per difficile non si intenda astrusa fumosità ma l’affrontare questioni complesse e vitali. Spettacoli complessi, mai noiosi.

Dunque il nostro dovere pubblico e il nostro dovere verso il pubblico è quello, secondo le nostre capacità ed intelligenze, di sostenere e rendere visibile gli artisti più coraggiosi e validi che ci sono oggi in Italia. Tenteremo di farlo non attraverso una rivoluzione (perché le rivoluzioni quasi mai sono durature) ma attraverso una riforma: gradualmente, passo passo, riformeremo il nostro pubblico e noi stessi, provando, attraverso il teatro, a diventare cittadini e uomini migliori.

Le interviste di Chiara Brilli a F. D’Ippolito, M. Civica e M. Bressan

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