Sono passati 50 anni dal primo omicidio del ‘Mostro’ di Firenze sul quale le indagini, pur con moltissimi errori, non si sono mai fermate.
Per la prima volta, 50 anni fa, sparò la pistola Beretta calibro 22, l’arma che poi sarebbe stata usata dal ‘mostro di Firenze’ nella lunga serie di duplici omicidi.
Era infatti la notte del 21 agosto 1968 quando i proiettili ‘Winchester’ serie ‘H’ colpirono e uccisero Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco che si erano appartati a Signa (Firenze) in una Giulietta dove, sul sedile posteriore, dormiva il figlio della donna, Natalino Mele, di sette anni. Quest’ultimo, negli interrogatori dell’epoca e, anche quando venne chiamato a testimoniare al processo contro Pietro Pacciani, ha sempre detto di non sapere chi avesse sparato alla madre e a Lo Bianco, che lui da piccolo chiamava ‘lo zio’.
Per quel duplice omicidio, non sempre collegato al maniaco delle coppiette, Stefano Mele, marito di Barbara Locci, scontò 13 anni di carcere. In un primo momento lui stesso confessò di aver sparato ma quando, solo nel 1982, la pistola fu collegata agli omicidi del mostro, Mele diventò il principale accusatore. Ad accorgersi del possibile collegamento tra i delitti del maniaco (il primo nel settembre 1974) e l’arma che aveva sparato a Signa fu un sottufficiale dei carabinieri. La Beretta calibro 22, serie 70, era stata prodotta fin dal 1959 e venduta, per poche lire, in migliaia di esemplari anche a chi non aveva porto d’armi, fino al 1967.
Gli investigatori indirizzarono le indagini sul così detto ‘clan dei sardi’ e Mele iniziò a parlare. Il primo a finire in carcere fu Francesco Vinci, un altro presunto amante di Barbara Locci: venne scarcerato circa un anno dopo, quando il maniaco colpì nuovamente a Giogoli uccidendo due ragazzi tedeschi che dormivano in un furgone, probabilmente scambiando uno di loro per una ragazza.
Vennero successivamente arrestati il fratello Giovanni Mele (Rpt. Mele) e il cognato Piero Mucciarini, anche loro in qualche modo scagionati da un altro duplice omicidio del mostro.
In 17 anni, nelle colline intorno a Firenze e nei comuni del Mugello, quella pistola uccise sedici giovani, otto coppie sorprese mentre cercavano un po’ di intimità. Gli ultimi nel settembre 1985 quando agli Scopeti, vicino a San Casciano, caddero sotto i colpi della Beretta Nadine Mauriot e Jean Michel Kravichvili, due turisti che avevano montato una tenda in uno spiazzo non lontano dalla strada.
Le indagini sui duplici omicidi, pur contraddistinte da moltissimi errori come più volte ribadito anche nelle aule dei tribunali, non si sono mai fermate. Pietro Pacciani in primo grado venne condannato ma fu poi assolto in appello e morì prima del nuovo processo chiesto dalla Cassazione. I suoi amici, i cosiddetti ‘compagni di merende’ (Mario Vanni e Giancarlo Lotti), vennero condannati per alcuni degli otto duplici omicidi. Spesso si è parlato, indagato e aperti e chiusi processi, su un presunto secondo livello, su possibili ‘mandanti’.
L’ultima delle inchieste sul mostro, aperta dalla procura di Firenze poco più di un anno fa, ha visto indagate due persone: uno è Giampiero Vigilanti, 86 anni, ex legionario, oggi residente a Prato ma originario di Vicchio del Mugello (Firenze), già perquisito nel 1985 e poi nel 1994. La seconda volta gli trovarono dei proiettili ‘Winchester’ serie ‘H’ ed è certo che conoscesse Pacciani. Il secondo è Francesco Caccamo, 87 anni, ex medico personale dello stesso Vigilanti e da lui chiamato in causa nel corso delle indagini condotte dai ros dei carabinieri.
Se il colpevole o i colpevoli sono un mistero, ancor più lo è la Beretta calibro 22.