Un panel di 35 ricercatori di 10 Paesi diversi sulla rivista Nature, per la prima volta, ha pubblicato una definizione di “riviste predatorie”, quelle che “antepongono i loro interessi economici alla diffusione della ricerca scientifica riportando informazioni false o ingannevoli e si rivolgono (soprattutto via e-mail) ai ricercatori in modo aggressivo e indiscriminato per spingerli a inviare i propri articoli”. Alla ricerca ha partecipato anche l’economista Mauro Sylos Labini, docente dell’Università di Pisa.
Secondo stime degli studiosi, si calcola che ogni anno circa 400.000 articoli appaiano su riviste che millantano standard accademici ma che invece pubblicano qualsiasi cosa se a pagamento. “Le riviste predatorie – spiega l’economista Mauro Sylos Labini- ingannano i colleghi inesperti, inquinano la valutazione della ricerca e diffondono informazioni potenzialmente false spacciandole per scientifiche”.
“Sono pubblicazioni a volte difficili da riconoscere – aggiunge -, anche perché le numerose black list disponibili sul web non sono sempre coerenti fra loro. E’ quindi importante che la comunità accademica trovi un accordo su una definizione e individui le caratteristiche in grado di identificarle”.