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Orsetti lascia una lettera-testamento, ‘muoio con il sorriso’

Gonfalone d'argento a Lorenzo Orsetti 'orso'

Lorenzo Orsetti era davvero “fiero” della sua “battaglia di civiltà” contro lo Stato islamico. Lo aveva detto e ripetuto in diverse interviste rilasciate nel corso dell’ultimo anno. L’ultima appena l’11 marzo scorso, una settimana prima dell’annuncio della sua morte da parte
dall’organo di propaganda dell’Isis, che con disprezzo lo ha definito un “crociato italiano”.

In quell’occasione, parlando con radio Ondarossa, aveva affermato che “a livello bellico lo Stato islamico è stato sconfitto” e pertanto, ora “sarebbe orribile vedere un’altra volta il mondo girarsi dall’altra parte, mentre civili e bambini muoiono nel peggiore dei modi. Perché io li ho visti, i cadaveri carbonizzati della gente, sotto gli air strike”.
Orsetti, 32 anni, aveva lasciato la sua Firenze e la sua attività di cuoco e sommelier oltre un anno e mezzo fa per andare a combattere i jihadisti dell’Isis in Siria,
‘arruolandosi’ volontario nelle fila delle milizie curde dell’Ypg, legate al Pkk turco. Come nome di battaglia aveva scelto ‘Tekosher’, ovvero il ‘lottatore’. Era ben consapevole di
rischiare la vita tanto che aveva scritto una lettera-testamento da leggere in caso di morte, firmata proprio con quel nome di battaglia insieme al suo altro soprannome, ‘Orso’. “Ciao, se state leggendo questo messaggio significa che non sono più in questo mondo”. E ancora: “vi auguro – aveva scritto – tutto bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo”.
In condizioni di guerra, un anno e mezzo è un periodo lungo. Parlando con le Iene poche settimane fa aveva raccontato di essere ormai “abituato a vedere un certo tipo di distruzione”.
Ma ad Ajin, dove era stato raggiunto al telefono aveva detto che sembrava “di stare dentro ‘Guernica’, il quadro di Picasso”.  Ma ciò nonostante, ancora il 4 marzo scorso, parlando con Tpi News diceva: “Io mi trovo molto bene in Siria: qui mi sento utile e credo di star facendo qualcosa di profondamente giusto”. Anche parlando col Corriere Fiorentino, un anno fa, nel marzo del 2018, diceva di non avere “nessuna remora morale” perché
“sto facendo la cosa giusta, sono a posto con la mia coscienza”. Era un sognatore, Orsetti, un idealista. Ai giornalisti diceva di essersi unito alla causa curda perché lo convincevano
“gli ideali che la ispirano”. E aveva anche confidato che per lui l’emancipazione della donna, la cooperazione sociale, l’ecologia sociale e la democrazia erano valori fondamentali.
“Per questi ideali – aveva proclamato – sarei stato pronto a combattere anche altrove, in altri contesti”.  E a febbraio, rispetto alla possibilità di finire nel mirino degli inquirenti una volta tornato in Italia, a Fausto Biloslavo per il sito Occhi della guerra, aveva confidato: “al momento non prevedo di rientrare, ma se dovessero accusarmi di qualcosa risponderò che sono fiero di quello che sto facendo in Siria”.
Ne era convinto davvero, tanto che nel suo ‘testamento’  ha scritto: “la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Ricordate che ‘ogni tempesta
comincia con una singola goccia’. Cercate di essere voi quella goccia”, conclude Orsetti la sua lettera di addio.

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