Al Teatro della Pergola di Firenze, da martedì 20 a domenica 25 novembre, Marco Sciaccaluga dirige Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica Di Martino, in John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen
Un’analisi lucida, filosofica e poetica, ma anche concretamente feroce e tragicomica, del destino che fa di ognuno un prevaricatore, un umiliato e offeso, che fa di ogni affermazione vitale anche un gesto di violenza. Una produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Teatro della Toscana. “Mi sono soffermato su un’ambientazione di stampo contemporaneo – afferma Sciaccaluga – con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Inoltre, mi sono concentrato sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo che sia uno spettacolo – continua – basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”
In scena ci sono anche Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran. La versione italiana è di Danilo Macrì, le scene e costumi di Guido Fiorato, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Marco D’Andrea.
Giovedì 22 novembre, ore 18, Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica Di Martino e la Compagnia incontrano il pubblico. Coordina Matteo Brighenti. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Inoltre, sabato 24 novembre, ore 10:30, Gabriele Lavia dialoga con Marco Giorgetti, direttore generale del Teatro della Toscana, su Dignità e Teatro, all’interno del ciclo Sulla scia dei giorni, ideato e promosso alla Pergola da Fondazione CR Firenze, mentre lunedì 26 novembre, ore 21:30, Lavia incarna Amleto in AmletOHamlet. In ambiente elettronico diretto da Giancarlo Cauteruccio al Tenax Theatre.
Edvard Munch lo definì “il più potente paesaggio invernale dell’arte Scandinava”. Ma il freddo dell’inverno, nella vicenda scabrosa e claustrofobica di John Gabriel Borkman, scritto da Henrik Ibsen nel 1896, è tutto interiore, dell’anima. Un’opera complessa, austera, inquieta, e di raffinata bellezza, per quei ritratti umani, per i dialoghi che possono essere attuali e al tempo stesso eterni.
Affidato all’interpretazione di tre grandi attori, a partire da Gabriele Lavia come protagonista, con Laura Marinoni e Federica Di Martino, il Borkman diretto da Marco Sciaccaluga al Teatro della Pergola di Firenze da martedì 20 a domenica 25 novembre fa esplodere le ambizioni di un secolo, l’Ottocento, intriso di superomismo e idealismo, di simbolismo e psicopatologia, ma che già svela, in nuce, i grandi traumi del Novecento. E forse di oggi. Una produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Teatro della Toscana.
“Non ci troviamo davanti a una tragedia, piuttosto si tratta di un dramma grottesco: John Gabriel Borkman – afferma Marco Sciaccaluga ad Angela Consagra sul foglio di sala dello spettacolo – è un super uomo ridicolo e con certe caratteristiche perfino nietzschiane, si può dire; in realtà, lui è un uomo ossessionato da una mitologia assurda che si identifica con una produzione di tipo venale: la corsa economica, con la convinzione di creare felicità nell’uomo, rinunciando, invece, a ciò che è davvero essenziale nella vita: l’amore.”
Borkman è un self-made man: per lui conta la carriera, a tutti i costi. Brillante banchiere incorso in un fallimento finanziario di grandi dimensioni, da genio della finanza si ritrova a essere un fallito. Toccato dal disonore di otto anni di carcere, dissolta la stima degli altri nei suoi confronti, non sembra però disposto a considerarsi un vinto e continua a non avere dubbi sul valore demiurgico di quella che lui considera la sua missione. Si sente un creatore finanziario, quasi un artista della finanza, per la potenza visionaria del suo intendere. Ha rubato, sì, ma non per sé. Lo ricorda lo storico del teatro Roberto Alonge: Borkman ruba “perché si sente il portavoce del progresso, è l’angelo sterminatore del vecchio mondo precapitalistico”. In scena ci sono anche Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran.
“È un testo contro i totalitarismi dell’anima – riflette Sciaccaluga – tutti i personaggi sono talmente tormentati dalla realizzazione dei propri insensati desideri che vengono portati a negare un principio fondamentale dell’essere: la libertà e quindi l’ascolto degli altri. Certamente il contrasto tra maschile e femminile in questo testo è molto forte; la narrazione, per citare Bergman, è costituita da tante “scena da un matrimonio” dove il conflitto è l’unica forma di comunicazione che possa esistere tra l’uomo e la donna.”
Borkman si è chiuso in casa, in attesa della “grande occasione”. Piero Gobetti descrisse il teatro di Ibsen come “l’itinerario dell’eroe in cerca del suo ambiente”: e qui l’ambiente è condiviso da due sorelle, entrambe presenti nella vita dell’uomo. La moglie, Gunhild Borkman (Laura Marinoni), in un matrimonio freddo, aspro e irrisolto; e il primo amore, Ella Rentheim (Federica Di Martino), cui Borkman ha rinunciato per interesse. È uno scontro, è un abisso. Afferma ancora Alonge: “è l’universo della Cultura (che vuol dire repressione) contro la vita dell’istinto, della carne, della felicità”. La versione italiana è di Danilo Macrì, le scene e costumi di Guido Fiorato, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Marco D’Andrea.
Conclude Marco Sciaccaluga: “Mi sono soffermato su un’ambientazione di stampo contemporaneo, rinunciando alle atmosfere tipiche del mondo ottocentesco, proprio con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Le scelte musicali sono quasi provocatorie, nel senso che, per esempio, si sente la musica di un artista come Tom Waits e lui sa raccontare bene il lato grottesco dell’animo umano. Inoltre – prosegue – mi sono concentrato sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo sia uno spettacolo basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”
Intervista a Marco SCIACCALUGA
di Angela Consagra
Che tipo di eroe è, secondo Lei, John Gabriel Borkman?
“È un eroe ridicolo… Abbiamo lavorato insieme a Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica De Martino e il resto della compagnia su questo grande capolavoro di Ibsen, accorgendoci di quanto possa essere stupefacente il confronto tra il testo e la nostra contemporaneità. Alla fine non ci troviamo davanti a una tragedia, piuttosto si tratta di un dramma grottesco: Borkman è un super uomo ridicolo e con certe caratteristiche perfino nietzschiane, si può dire; in realtà, lui è un uomo ossessionato da una mitologia assurda che si identifica con una produzione di tipo venale: la corsa economica, con la convinzione di creare felicità nell’uomo, rinunciando, invece, a ciò che è davvero essenziale nella vita: l’amore. Nel testo è presente una battuta lancinante: Borkman dice alla sua ex amante, forse l’unico amore della sua vita, che “se c’è una buona ragione per farlo, una donna può essere sempre sostituita con un’altra…” Ecco perché Borkman può dirsi ‘un eroe ridicolo’ o meglio ‘grottesco’, questa è la definizione più corretta.”
Forse l’aspetto più affascinante è che John Gabriel Borkman si identifica come un testo sul potere e le sue implicazioni, ma allo stesso tempo costituisce anche una fonte di riflessione sul rapporto tra femminile e maschile…
“Sì, non c’è dubbio; il testo è caratterizzato da un totale fraintendimento del destino identitario dell’uomo che acquista un senso solo quando è capace di raggiungere il potere e il comando, un’autorevolezza totalitaria dell’essere. E ciò vale anche per le donne: nonostante Ibsen sia stato un autore quasi protofemminista – Ibsen ha scritto dei personaggi femminili straordinari – in quest’opera vige comunque nelle donne un’ossessione legata al potere. Questo discorso, per esempio, si ritrova nella figura della madre in rapporto con il figlio, attraverso il quale lei sogna insensatamente di riscattare le colpe del padre, oppure nel personaggio dell’amante e seconda madre che ha il desiderio altrettanto insensato di possedere Borkman affettivamente. È un testo contro i totalitarismi dell’anima, tutti i personaggi sono talmente tormentati dalla realizzazione dei propri insensati desideri, che vengono portati a negare un principio fondamentale dell’essere: la libertà e quindi l’ascolto degli altri. Certamente il contrasto tra maschile e femminile in questo testo è molto forte; la narrazione, per citare Bergman, è costituita da tante “scena da un matrimonio” dove il conflitto è l’unica forma di comunicazione che possa esistere tra l’uomo e la donna.”
John Gabriel Borkman è un classico; in che modo questo testo è capace di ricondurci alla nostra attualità?
“Noi viviamo in una società allarmante in cui abbiamo, soprattutto attraverso l’uso dei social media, l’illusione di parlarci gli uni con gli altri. In realtà, questo nostro mondo rappresenta la mitologia dell’individualismo: non viviamo in una società che comunica, anzi, nella nostra collettività ognuno individualmente, e anche un po’ apocalitticamente, emana i propri editti. In questo senso, un’opera come John Gabriel Borkman costituisce un ritratto assai amaro del mondo attuale.”
E dal punto di vista della regia, qual è l’idea che ha perseguito?
“Mi sono soffermato principalmente su un’ambientazione di stampo contemporaneo, rinunciando così alle atmosfere tipiche del mondo ottocentesco, proprio con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Le scelte musicali sono quasi provocatorie, nel senso che, per esempio, si sente la musica di un artista come Tom Waits e lui sa raccontare bene il lato grottesco dell’animo umano. Inoltre mi sono concentrato anche sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo sia uno spettacolo basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”