Il suicidio di un detenuto avvenuto nella tarda serata di ieri all’interno del carcere Don Bosco di Pisa ha scatenato una piccola rivolta all’interno della struttura detentiva con alcuni detenuti che hanno acceso dei falò incendiando lenzuola, materassi e suppellettili e costretto la polizia penitenziaria a “blindare” la casa di reclusione, facendo slittare anche una serie di interrogatori di garanzia programmati per la mattinata. E’ quanto si apprende da fonti penitenziarie.
Dopo alcune ore la situazione è stata ripristinata la calma e ora il clima all’interno della casa circondariale di Pisa, è tornato sostanzialmente sereno, anche se alcuni interrogatori di persone arrestate nelle ultime ore sono stati rinviati ai prossimi giorni. I detenuti che hanno innescato la rivolta erano in possesso “anche di lamette e hanno lanciato pietre contro alcune vetrate”. Lo si apprende da fonti interne.
La protesta dei reclusi sarebbe dovuta al sovraffollamento della struttura ed è stata messa in atto da alcuni reclusi che non si sono limitati ad accendere piccoli falò danneggiando le suppellettili delle celle, ma hanno anche assunto un atteggiamento minaccioso verso gli agenti. Poi la situazione è tornata alla calma senza ulteriori problemi.
“Tutta questa situazione richiederebbe un cambio di politica e invece si continua a pensare a una repressione cieca, che provoca disastri”. Lo ha detto il garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone, parlando in seguito al suicidio del detenuto al don Bosco di Pisa.
“Il detenuto era in custodia cautelare dal 7 novembre, in attesa di giudizio per un fatto di lieve entità, piccolo spaccio. Era in carcere per l’articolo 73 della legge 109 del 1990 – ha spiegato il garante -. Le notizie ricevute dalla direzione del carcere parlano di un soggetto problematico, che era seguito per questa sua particolare condizione. Ieri sera era stato assistito nell’infermeria e riportato in cella intorno alle 22.”
“Una volta rientrato si è impiccato. Il compagno di cella sostiene di non essersi accorto di niente, essendo in bagno. Gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti immediatamente, è stato chiamato il 118, ogni tentativo di rianimazione è stato vano. Si tratta del terzo suicidio in carcere quest’anno nella nostra regione”, fa notare il garante.
“Pare che il giudice abbia disposto l’autopsia e che sia stata aperta un’indagine. Piccolo spaccio. Per questo reato non ci può essere la pena di morte. L’ho detto fino alla noia, ma la questione delle droghe porta attualmente in carcere oltre il 30% dei detenuti”.
E poi, il problema del sovraffollamento: “A ieri, nel Don Bosco di Pisa erano detenute 285 persone, di cui 42 donne e 162 stranieri. La capienza regolamentare è di 206 detenuti. In Toscana i detenuti sono 3mila 406, di cui 129 donne e 1689 stranieri, a fronte di una capienza di 3mila 146. In Italia è stata superato il tetto dei 60mila detenuti. Sono troppi i suicidi in carcere, ieri uno anche a Catania, e sono molto gravi le situazioni di sovraffollamento.”
“La mancata riforma dell’ordinamento penitenziario ha provocato delusione ed esasperazione nella popolazione detenuta. Non vi è consapevolezza della gravità della situazione nel Governo, nel ministro della Giustizia, e anche nel dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e nel suo capo”, ha concluso Corleone.
“La carenza di personale di Polizia Penitenziaria presso la casa circondariale di Pisa è ormai un fatto tristemente noto. Si fa fatica in una struttura tanto fatiscente a fare i controlli dovuti e ad adeguare la tecnologia”. Lo denuncia il vicesegretario regionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Claudio Caruso, dopo i disordini avvenuti nel carcere Don Bosco di Pisa dopo il suicidio di un detenuto, chiedendo “più spazi per una detenzione meno afflittiva” per i reclusi”.
“Sventiamo – aggiunge Caruso – tantissimi episodi simili, salvando la vita di tanta gente disperata. Questo è uno di quei casi in cui non ci siamo riusciti, pure impegnando le risorse umane al massimo”. Osapp, prosegue la nota, denuncia da tempo “i rischi congeniti di un carcere tanto vecchio, dove la pena assume un carattere estremamente afflittivo: serve una struttura leggera, con ampi spazi dove poter organizzare delle attività per i detenuti, una struttura che permetta al personale di polizia penitenziaria di svolgere i propri compiti con dignità”.
“Altrimenti – conclude Caruso – dovremo abituarci a vedere simili tristi notizie e allora il fallimento sarà di tutti coloro che potevano intervenire, ma hanno preferito limitarsi a prendere atto di una situazione drammatica e fuori dalle prescrizioni dell’ordinamento penitenziario. Più personale e più risorse, più spazi e più attività per evitare altre tragedie.”