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Formato Cartaceo del 13 novembre 2022

RONCORONI Federico, Sillabario della memoria – Viaggio sentimentale tra le parole amate, Tea (184 lemmi da abballinare zuzzurullone)

da abbinare a:

Parole, un dizionario privato (64 lemmi da amante zàgara) dello stesso autore, Mondadori scuola

 

“                      “           Un giorno, altrove, Mondadori (romanzo)

 

[L’autore è convinto «che le parole, se non possono salvarti la vita tout court, ti salvano senz’altro la vita che hai mentre sei vivo: la vita che hai vissuto e che ami, la vita dei ricordi che hai coltivato con tanta passione. E che a partire da un certo momento diventa, se non la tua unica vita, la tua vita vera». Nell’affrontare questo libro indimenticabile (lemmi da abballinare zuzzurullone), non c’è che l’imbarazzo della scelta: si può cominciare a leggere dall’inizio o risalendo all’indietro dalla fine o aprendo a caso una pagina qualunque o saltando qua e là. Diamo giusto un paio di esempi per stuzzicare, senza saziarlo, l’appetito dell’eventuale lettore:

«biondetti (aggettivo) – Biondetti erano i primi peli di pube di ragazza che vidi e toccai, diciannovenne, a Pavia, sulle rive del Ticino, per gentile e generosa e ricambiata concessione di una tenera compagna di corso. Biondetti e anche ricciutelli come, subito mi sovvenne, i capelli della fanciulla incontrata in un boschetto, in tempi ancor più remoti, da Guido Cavalcanti: Cavelli avea biondetti e ricciutelli, / e gli occhi pien’ d’amor (…). Poi, poiché tutto passa, anche tu passasti, dolce fanciulla dal vello biondo più d’una matura spiga, e io, come era giusto e naturale, di altri peli feci esperienza. E giacché, come acutamente nota un dotto autore cinquecentesco, di peli ornanti il pube e il sottopube “se ne trovano di tante sorti che gli è una confusione a pensarvi”, io, per motivi di identificazione memoriale, li ho ridotti a quattro tipi fondamentali dai quali tutti gli altri nascono, con le loro sfumature di colore, consistenza, forma, odore e simili: quello biondo e non ricciutello, ma liscio come velluto e fine come la lanugine delle pesche mature, insapore al primo gusto ma sapidissimo appena inumidito dall’intimo suo liquore; quello nero, fitto e intrecciato come una foresta selvaggia, odoroso di muschio, di per sé carnale e inebriante fin dal primo sguardo, ma pericoloso al gusto perché e scende in gola si pianta lì e si deve fare una gran fatica per tirarlo su o inghiottirlo del tutto; quello castano, lucido come la buccia dei marroni d’ottobre, docile e nello stesso tempo responsivo al tatto, un po’ usuale forse, ma per lo più ombreggiante siti di grande suggestione; e quello rosso, duro e pungente come filo di ferro, fiammeggiante come il fuoco e come il fuoco caldo, dal sapore forte e speziato. Tutti “meravigliosamente” li conobbi, e nella loro infinita varietà amai l’infinita varietà delle donne che, in modo sempre diverso, mi hanno consentito di cercare nel loro profondo, insieme al mistero che fingevano di nascondere e proteggere, l’unico piacere che sia dato provare a chi nasce mortale».

«strafottuta (aggettivo femminile) – (…) “Ubi porcus ibi troia, et invicem”, soleva ripetere Luigi Anselmi, medievalista e immoralista insigne dell’università di Pavia… (…) Per quello che riguarda il dare della strafottuta o della puttana a una donna, vale l’aureo principio teorizzato da Piero Chiara, narratore e amatore insigne: “Tu non puoi dire di una donna che è una puttana che va a letto con tutti, se non è venuta a letto anche con te”. Di fatto, spiegava Chiara, se così non è stato, se non l’ha data anche a te, non puoi dire che la dà a tutti: a te, per esempio, non l’ha data, e questo vuol dire tante cose”».

Ma l’aselgotripsia (sost. femm.) che sarà mai? E le barlafuse (sost. femm. plur.)? E perché sono (e significano cose) molto diverse le due locuzioni verbali che siamo soliti usare indifferentemente: fare all’amore fare l’amore?  E che delicato e poetico eufemismo ha il dai più perennemente trascurato significato di guazza (pur riportato dal Grande dizionario del Battaglia) riscontrabile nel poemetto in ottave. La corneide di Giovanni de Gamérra, un verace livornese del secondo ‘700. E le univìre chi saranno mai? E le poliandre? Il lemma nostalgia – oltre 6 pagine di testo – meriterebbe, da solo, un epinicio… ma non si vuole qui, ripeto, sottrarre piacere e godimento all’eventuale lettore incuriosito da questo sintetico (e ammiccante) invito alla lettura.

Roncoroni (Como, 1946-2021), è stato amico di Piero Chiara di cui oggi cura il Fondo omonimo; sua è la grammatica italiana più diffusa nelle scuole e più venduta nel mondo.]

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