Formato Cartaceo del 20 novembre 2022

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    GUENASSIA Jean-Michel, Il club degli incorreggibili ottimisti, Salani

    [«Prima ancora di aver letto, s’indovina subito se un libro ci piacerà o no. Si fiuta, si annusa il volume, ci si domanda se vale la pena di passare del tempo in sua compagnia. È l’alchimia invisibile dei segni tracciati su un foglio che si imprimono nel nostro cervello. Un libro è un essere vivente. Una persona, al solo vederla, sapete già se diventerà vostra amica». Sì, vale la pena di passare del tempo in compagnia di questo libro; sì, diventerà vostro amico. E non fatevi spaventare dalla mole – 700 pagine: romanzo di formazione e disincanto, è l’affresco indimenticabile di un’epoca indimenticabile, la Parigi dei vertiginosi primi anni Sessanta del Novecento (con un antefatto leningradese) quando non si è ancora dissolta l’eco del  secondo conflitto mondiale e già la guerra d’Algeria segna le vite dei francesi d’oltremare.

    Michel Marini, 11 anni, figlio di immigrati italiani, esce dall’infanzia e si affaccia a un’adolescenza inquieta e piena di emozioni. Vagabonda per il quartiere, gioca al calcio balilla con gli amici. Ma soprattutto ama leggere: «La sola cosa che mi sembrava utile era leggere. In casa nostra nessuno leggeva nel vero senso della parola. Mia madre ci metteva un anno a finire il libro dell’anno, cosa che le permetteva di parlarne e di passare per una grande lettrice. Mio padre non leggeva e se ne vantava. (…) Io ero un lettore compulsivo. (…) La mattina quando accendevo la luce, aprivo il libro e non lo lasciavo più. Vedermi col naso ficcato tra le pagine innervosiva mia madre. “Non hai nient’altro da fare?”. (…) Leggevo a tavola, cosa che faceva inorridire mio padre. Leggevo lavandomi i denti e sul water. Leggevo camminando. Mi ci voleva un quarto d’ora per andare al liceo. Un quarto d’ora che spesso si allungava diventando mezz’ora o più. Spesso arrivavo in ritardo e rimediavo punizioni a non finire. (…) Durante la maggior parte delle lezioni proseguivo nella lettura, il libro posato sulle ginocchia. Nessun professore mi ha mai beccato».

    Un giorno Michel osa entrare in un bistrò, il «Balto». È attratto da una stanza sul retro dove si ritrova un gruppo di uomini, che parlano un francese a volte approssimativo e portano dentro di sé storie e passioni sconosciute. Sono profughi dei Paesi dell’Est, uomini traditi dalla Storia, ma visionari che ancora credono nel comunismo. Incorreggibili ottimisti («Quello che per loro contava nella Terra promessa non era la terra. Era la promessa»).

    Frequentare il Balto vuol dire scoprire il mondo. Michel fa amicizia e cresce con Igor, Leonid, Imré, Pavel, Tibor, Saša; impara a conoscere l’amicizia, l’amore, la complessità degli ideali. Nel retro di quel bistrò si litiga, si beve, si gioca a scacchi, si raccontano storie terribili di esilio che si intrecciano sullo sfondo di un decennio epocale, tra filosofia e rock’n’roll, la conquista dello spazio e l’inizio della guerra fredda, con Jean-Paul Sartre e l’autore di Belle de jour, Joseph Kessel («Si può sempre più di quello che si crede di potere»), che tengono banco fra i tavolini.

    «Per lungo tempo pensò che la voce della nostra cattiva coscienza fosse fatta per non essere ascoltata. Altrimenti non esisterebbero i rimorsi, e una vita senza rimorsi è priva di interesse. Poi, aveva concluso che nessun uomo poteva resistere a un simile sorriso, pena non essere un uomo. Oggi, pensava di essere stato un coglione, come lo sono tutti gli uomini davanti a un sorriso di donna. Leonid si abbassò, raccolse la chiave a croce per cambiare la ruota… e cominciarono i suoi guai».]