Formato Cartaceo del 5 febbraio 2023

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    Formato Cartaceo del 5 febbraio 2023
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    MAIERON Luigi, Te lo giuro sul cielo, chiarelettere
    «”Sei sicura che vuoi imparare? Sicura che non buttiamo via i soldi?”. La piccola
    rispondeva con tanti sì. “Non consumiamo i soldi per niente, te lo giuro, pari
    [papà in lingua friulana], te lo giuro sul cielo, credimi, pari”». La bambina che fin
    da piccolissima aveva mostrato interesse e poi passione per la musica e che
    rassicura il padre, incerto se comperarle o meno una piccola fisarmonica della
    Bagnini al costo di 32mila lire da pagare in rate mensili di 2mila lire, è Cecilia
    Boschetti, la protagonista del libro, e Maieron è suo figlio. E la fisarmonica è la sua
    vita.
    Indomita e ribelle, grintosa e appassionata, Cecilia è un fiume in piena
    incontenibile; fin da ragazza sfugge ai soffocanti cliché della sua terra – la Carnia
    degli anni ’50 e ’60 del ‘900 – che vorrebbero la donna moglie sottomessa
    ubbidiente e madre accudente. Lei – prima donna di Carnia a suonare la
    fisarmonica (da autodidatta), prima donna di Carnia a condurre una Gilera con la
    quale gettarsi a rotta di collo per tornanti e sterrati di montagna – è il personaggio
    attorno al quale, con mano delicata e leggera e con una pietas che comprende e
    assolve, il figlio Luigi racconta l’epopea di un piccolo mondo antico (e ormai
    perduto) e di una schiera di musicanti di montagna, riportandoci indietro nel
    tempo tra le montagne della Carnia, in Friuli, in un paese minuscolo, Cercivento, il
    cui nome significa «circondato dai venti», un posto dove «l’acqua delle fontane ha
    sapore di neve», una terra dove «le strade della formazione erano in salita e le
    discese sempre molto ripide».
    «Il cielo di Carnia è molto piovoso, custodisce ogni lacrima versata e ci tiene a
    spiegare che il pianto interrompe il nostro allenamento alla durezza. Ferma il
    viaggio verso il paese dei sentimenti di pietra, il posto dove la fragilità è bandita e
    non sono concesse debolezze. Alle sue pietre aguzze, alle sue lame di pietra, le
    lacrime dicono di no. Ci vogliono vivi, portano fuori a gocce il mare d’angoscia che
    abbiamo dentro. Vigilano che non si superi il livello di guardia. Ma sono anche il
    liquido amniotico di una rinascita, uno strato d’acqua per tenerci a galla».
    Indimenticabile Cecilia, ma indimenticabile anche la galleria di personaggi e
    comprimari che le fanno da contorno: Augusta, Pio, Genesio, la comare Teresine,
    Nodâl; Pakai secondo cui non esisteva musica astemia ed era comunque preferibile
    affidarsi non al buonsenso ma al principio del tignisi bevûts [stare bevuti]; Toni
    Frescura e il suo strampalato paradiso, Chechi, Anna, Nêl, il maestro Steno
    Sandoli, Agnul Murose sempre con le mani a frugare sotto le sottane delle donne…
    «Erano abituate a pretendere molto da sé stesse, le donne di Carnia, a essere
    pazienti e tenaci, a vincere le battaglie senza azioni vistose. Si muovevano con
    cautela, attente ai segni che la vita lasciava e pronte a qualsiasi impresa». «(…) la
    legge dei monti non accetta il peso del risentimento. La fatica serve a imparare che
    i pesi si portano con le braccia, e che bastano quelli: è mille volte meglio, fare,
    sbrigare, faticare che trascinarsi dietro rancori, guai, accumulare gravame
    sull’anima e dentro al cuore. È già troppo impegnativo il viaggio. (…) Si perdonano
    le azioni cattive, ma non si dimenticano. (…) Una famiglia non era serena se non lo
    erano anche le altre. Le loro armi erano i rastrelli, le zappe, le gerle. Combattevano
    per l’essenziale, bastava. I loro cuori semplici si allenavano a rafforzare i
    sentimenti. (…) Erano duri, nascondevano i pianti, le ferite mal curate. Ma erano

    colmi di saggezza, quella saggezza che li portava a vivere e anche ad accettare la
    morte con serenità. Dietro quei visi rugosi era passata la vita vera. Le loro mani
    non erano riuscite a fermarne granché, occupate in tanti mestieri di fatica si erano
    rovinate a poco a poco. Non sapevano accarezzare, ma erano pronte ad aiutare, a
    lavorare anche per te».
    Ma Te lo giuro sul cielo è anche un romanzo di formazione, la storia dell’autore da
    cucciolo e poi da adolescente alla scoperta dell’amore e del sesso e che seguirà ben
    presto le orme del nonno e della mamma diventando un cantautore pluripremiato:
    «La musica ci disarmava, ci dava un senso di appartenenza. Le parole e la melodia
    entravano come carezze nella nostra adolescenza. [La musica] raggiungeva i nostri
    cuori, scendeva in profondità. Ci raccontava la vita usando altre parole. Ci parlava
    di indipendenza, si sostituiva alle nostre famiglie che resistevano anche nelle
    bufere, ma non avevano risposte per le inquietudini. La musica non eseguiva
    soltanto note, ma raccontava la saggezza della montagna, le speranze delle
    persone, la capacità di soffrire».
    E allora: «Ju fu fui, ju fu fui, ju fu fui…»