“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Rape e uova nel cestino”, di Felice Casorati (olio su tela, 1942 ca.)
Tra le nature morte della collezione permanente del Museo Novecento, spicca un piccolo capolavoro di Felice Casorati che si distingue tra le altre sue opere conservate nel museo e di grandissimo valore: Nudo (studio per Meriggio) del 1922, Ragazzo sul letto del 1942, Ragazza in azzurro del 1933, Studio per il Ritratto del 1919, oltre a Nudo giallo del 1946. Attraverso la riduzione al minimo, sulla scia del minimalismo poetico di Giorgio Morandi, eleggendo a immagine del mondo e dei sentimenti umani pochi umili oggetti, Casorati ci offre la prova che l’arte non necessita di imprese titaniche, prestazioni monumentali, atti eroici e virili. La poesia figurativa, con i suoi canali privilegiati fatti di colore, luce, spazialità e nuda matericità, apre le porte alla gnoseologia. Attraverso la contemplazione di un misero brano di realtà quotidiana, poche uova e rape in un cestino di vimini, può rendersi intellegibile il senso dell’esistenza, il mistero della vita, la sua sacralità. L’umile immagine può perfino assurgere a manifesto di una lotta artistica inscenata dallo studio contro gli orrori del mondo e la protervia del potere, contro l’inutilità della gloria e la vanità della magnificenza. La piccola natura morta è stata realizzata da Casorati nel 1942, quando l’Italia, l’Europa e il mondo erano nel pieno della seconda guerra mondiale. E’ incredibile pensare come l’artista sia riuscito a fare il vuoto intorno a sé concentrandosi solo su quanto poco resti a disposizione dello sguardo per trovare un varco nel caos del mondo e raggiungere il senso della vita. Sull’asse di legno, che funge da piano di appoggio e occupa metà dello spazio di rappresentazione, è poggiata una cesta di vimini intrecciati con all’interno uova e rape. La composizione è risolta per metà con un linguaggio quasi del tutto astratto: fasce e aree di colore senza necessità di definire cose ma solo dimensioni e valori spaziali, la profondità e l’angolazione del tavolo, la distanza del fondo. L’osservazione ancora naturalistica degli oggetti è messa invece alla prova nel rappresentare le diverse forme delle uova e delle rape, inseguendo “il vero ma cercando di farlo il meno servilmente possibile” come amava dire Casorati. Infatti, le cose sono costruite riducendo quasi al minimo le necessità figurative per arrivare all’essenza volumetrica delle stesse. Le uova sono principalmente ovoidi, le rape sfere compatte. Su tutto ha massima importanza la luce che fa spiccare le forme all’interno del cestino, di cui è leggibile la trama delle pareti e quella della corda che in cima cinge a corona il recipiente. La scelta contenutistica di esaltare due prodotti naturali e alimentari così semplici, come uova e rape ha le sue origine nelle nature morte del seicento, ma è con Van Gogh e i suoi Mangiatori di patate che il tema della miseria e della condivisione familiare di un povero pasto, si propone con perentoria e insuperabile autorità poetica-artistica. Casorati da una parte pensa a Morandi, alla sua etica contemplazione di oggetti casalinghi, dall’altra fa riferimento all’epica moralità di Van Gogh, che porta in primo piano poveri, quanto necessari, alimenti e oggetti. Nel cestino di Casorati confluiscono due mondi e due narrazioni. Da una parte l’uovo, alimento basilare, ma forma assoluta, di significato metafisico che si porta con sé la memoria di Piero della Francesca e del suo uovo appeso al centro della Pala di Brera, simbolo di eternità e resurrezione. Dall’altra parte le umili rape che ci ricordano l’estrema povertà esistenziale del periodo della guerra, esperienza vissuta dall’artista in quei giorni. Il prodotto dell’animale e quello della campagna, coltivato nella terra, si fanno da contrappunto. Poco cibo, poca legna per riscaldarsi, poche necessità per sopravvivere e per creare. Ridotto ai minimi termini, l’artista cerca una via per riscattare l’arte e la vita dalle condizioni di difficoltà in cui versano l’una e l’altra, e lo fa sacralizzando gli emblemi di un’esistenza tanto miserevole quanto eroica, accostando simboli e forme della realtà terrena e della metafisica. Un modo anche questo di fare del realismo magico, di trovare della trascendenza nel più minimale realismo.
Capita all’umanità di arrestare di colpo la sua fuga in avanti, di decelerare il progresso, di stoppare la sua frenesia, può essere una guerra, un’epidemia, una carestia. Allora il poeta, l’artista prendono sulle spalle le sorti del mondo con sentimenti lirici e avvertono il desiderio di eleggere a assoluto cose mute e immobili, pensieri profondi e limpidi senza essere travolti dalla vertigine e dall’affanno di un mondo cieco che corre sul precipizio.
Copyright Sergio Risaliti
Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.
Montaggio video: Antonella Nicola