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Ricordare Srebrenica, pensando all’Ucraina

Srebrenica

L’amico e collega Claudio Gherardini mi ricorda con un messaggio che oggi, 11 luglio, è il 27/o anniversario della strage – anzi del genocidio, come è stato ufficialmente catalogato – di Srebrenica. Più di 8.000 uomini e ragazzi bosniaci sterminati dalle milizie serbe di Milosevic e Mladic nel 1995. Migliaia di persone, soprattutto donne, in fuga verso Tuzla e alcune di loro suicide appese ad un albero per la disperazione.

Oggi indosserò la margherita bianca e verde ricamata dalle donne di Srebrenica per ricordare quell’eccidio che rappresenta il paradigma della fellonia dei caschi blu olandesi che consegnarono ai miliziani di Mladic i bosniaci affidati alla loro tutela. Quello fu l’inizio della comprensione dell’inutilità (se non della dannosità) dell’Onu, l’organizzazione nella quale il mondo per mezzo secolo ha riposto speranze. Tanto è vero che quando in tv appare l’attuale segretario generale Guterres, se non fosse per la drammaticità delle questioni su cui interviene, ti scappa quasi da ridere pensando a quel gattino sdentato e malconcio che rizza il pelo (che fu) di fronte ad un elefante.

C’è da chiedersi come sia possibile che qualche politico italiano, sebbene male in arnese dopo effimeri fasti, abbia coltivato l’idea di ricoprire quella carica. Giusto per capire, nel video girato anche in quello che fu l’hangar nel quale si accantonarono i militari olandesi, si vedono anche le foto di alcuni graffiti in lingua inglese di questi “eroi”. Uno per tutti spiega la contezza che avessero del ruolo loro affidato: “Se non ha denti, ha i baffi e puzza come la merda è una ragazza bosniaca”.

Questo del 2022 è un anniversario strano. Non è tondo, non sono ancora 30 anni. Ma la ricorrenza nutre un pensiero in più. C’è una guerra in corso, per origine molto lontana (o forse no) da quella che ha insanguinato i Balcani, ma è impossibile non pensarci dopo che quasi 30 anni fa abbiamo fatto quasi finta di niente di fronte al conflitto nella ex Jugoslavia, di fronte alla guerra dietro casa, salvo tentare di salvare la nostra sudicia anima protestando contro i bombardamenti di Belgrado. Claudio Gherardini, a mo’ di promemoria, mi ha anche inviato il link ad un reportage che lui ed il collega bosniaco Vedran Jusufbegovic hanno realizzato nel 2015 per i 20 anni dalla strage di Srebrenica. E’ bellissimo.

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E ve lo ripropongo in questo post. Alla fine ci sono alcune interviste. Una è con il generale Jovan Divjak, l’alto ufficiale dell’esercito serbo che decise di stare dalla parte bosniaca e diventò il comandante della difesa di Sarajevo. Divjak è morto lo scorso anno. Dopo aver guidato la resistenza della capitale della Bosnia ha fondato un’organizzazione a favore dell’infanzia. Anche un altro dei miei eroi in uniforme preferiti, il capitano Salgueiro Maja che ha svolto un ruolo centrale nella fantastica Rivoluzione dei garofani del 1974 in Portogallo, poi si era dedicato ai bambini. Chissà perché questi coraggiosi e ribelli uomini in divisa sono poi accomunati dalla difesa dei più piccoli. Bene, nell’intervista a Claudio Gherardini (la trovate alla fine del video), Divjak risponde (nel 2015, quindi a crisi del Donbas iniziata) ad una domanda che riguarda la situazione ucraina e risponde così: “Non ho nessuna intenzione di paragonare la situazione bosniaca a quella ucraina, ma penso che Putin voglia fare in Ucraina quello che Milosevic ha fatto in Bosnia”. Pelle d’oca.

Stefano Fabbri

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