La mancata reazione della vittima può davvero essere il discrimine tra l’abuso e lo stupro? Se il terrore ti paralizza, lo shock ti rende impotente, se in quel momento vorresti solo sparire da te stessa e da quell’incubo… Tutto ciò può ‘alleggerire’ le colpe dei tuoi carnefici? Sembra una follia, un ribaltamento del buon senso e dell’umana ragione eppure la giustizia su questo, in Spagna, ha espresso la sua interpretazione ritenendo i componenti della ”Manada” della festa di San Fermin, colpevoli solo di abuso sessuale nei confronti di una giovane madrilena, a Pamplona nel 2016.
Il tribunale della Navarra ha infatti condannato a 9 anni di carcere, invece dei 20 chiesti dall’accusa, i 5 giovani sivigliani coinvolti nell’aggressione, perché riconosciuti colpevoli solo di ”abuso” e non di ”stupro”, in assenza di violenza palese. La vicenda aveva scioccato tutta la Spagna e la sentenza ha provocato la protesta di decine di manifestanti che si sono riuniti davanti alla sede del tribunale. “È uno stupro, non un abuso”, “vergogna” hanno urlato i manifestanti. Raduni sono stati convocati a Madrid, Barcellona, Siviglia, Alicante e in un’altra dozzina di altre città spagnole contro il verdetto e a sostegno della 18enne. Sia i legali della giovane che degli imputati hanno dichiarato che si appelleranno contro il verdetto.
Così la giovane non deve solo lottare con tutta se stessa per liberarsi dalla tragica esperienza di un corpo e una vita violate, ma anche da un senso di colpa ‘indotto’ dallo stesso sistema giudiziario per una sua mancata difesa. Non riuscire a tutelarsi significa dare libero accesso alla violenza? Ma come si può arrivare ad una consequenzialità così aberrante?
“Se non lotti contro 5 bruti grossi il doppio di te rischiando la vita non ti stanno violentando. Vergogna e schifo!”, ha tuonato su Twitter Pablo Iglesias di Podemos. Le proteste hanno reso incandescenti le reti sociali. La sentenza, a sei mesi dalla conclusione del processo, era attesissima. E’ stata trasmessa in diretta tv. E accolta con sdegno.
Una sentenza che arreca un duro colpo a tutte quelle battaglie sociali, civili, politiche che vengono con fatica portate avanti ogni giorno per difendere la dignità delle vittime e aiutarle a trovare la forza non solo di denunciare, ma di recuperare quei pezzi di amor proprio che l’aggressione, la violazione intima e psicologica ha frantumato e disperso.
I 5 sivigliani della ”manada” (il ”branco”, come si erano definiti sui social) sono stati condannati a 9 anni di carcere per “abuso sessuale” e assolti dall’accusa di “aggressione sessuale” per l’assenza di violenza patente. Uno dei tre giudici della Navarra si è anzi pronunciato per l’assoluzione completa dei 5 accusati.
Vale la pena sottolineare che in quel contesto di giudizio non era presente nemmeno una donna. Giudici maschi che hanno passato al setaccio non tanto la dinamica del reato compiuto dagli aggressori quanto le reazioni e le conseguenze sulla vittima.
Se non hai graffiato, strappato capelli, tirato calci, o non sei stata lacerata, ferita brutalmente, allora non sei stata violentata ma ‘solo’ abusata. Uno spartiacque che non è la tua autodeterminazione, la tua volontà a stabilire ma chi ha il potere di sopraffarti sapendo che quella dinamica per lui sarà meno ‘condannabile’. Un bel lasciapassare per chi non ha alcuna intenzione di rispettare la dignità umana.
Eppure non credo che l’essere stata trovata accovacciata in posizione fetale sulla strada, in lacrime, sconvolta, fosse sinonimo di ‘accettazione’, di ‘assenza di reazione’, quanto di trauma subito, di ingiustizia perpetrata. La giovane ha infatti spiegato di non aver potuto reagire e lottare, “paralizzata” da quanto stava accadendo e dai cinque uomini che la sovrastavano. Questa è una colpa?
Gli arrestati – tra loro anche un militare e poliziotto – si sono difesi sostenendo che la ragazza non si era agitata, non c’era stata violenza e che quindi era consenziente. “Se non c’è aggressione in uno stupro di 5 uomini grandi e grossi contro una ragazza di 18 anni”, ha protestato la portavoce delle manifestanti di Pamplona, “cos’è una aggressione? Devono ucciderci?”.
La sentenza di Pamplona non è degna di un paese civile e non può passare sotto silenzio, in Spagna come nel resto del mondo. Una donna è stata violentata due volte: da i suoi aggressori e da chi avrebbe dovuto ridarle quanto meno una giustizia sociale. Invece la legge del più forte ha preso il sopravvento in uno Stato di diritto in cui dovrebbero essere tutelati in primis i più deboli.
Chiara Brilli