Lo afferma Slow Food Toscana in una nota. Sul “progetto nocciola”, che interessa questi giorni la Toscana, l’associazione dichiara di “essere a fianco di quei produttori e dei territori che si oppongono all’impianto di monocolture intensive, in una area non tradizionalmente vocata”.
“Il Valdarno, come negli altri territori Toscani individuati dal progetto,- continua Slow Food Toscana – la Valdichiana, la zona del Grossetano ed in altre che dovessero essere interessate, ci si deve porre il problema di cosa vorremmo nel nostro futuro per la nostra salute, per la nostra campagna, per il nostro paesaggio.”
“Le coltivazioni “superintensive” non fanno bene alla terra, né agli umani – afferma Agenzia Europea per l’Ambiente, nel suo recente rapporto “Stato per l’ambiente 2020” – per quello che necessariamente comportano in termini di contaminazione da pesticidi, di emissioni di gas serra, di erosione e impermeabilizzazione del suolo, di inquinamento delle falde”.
Slow Food sottolinea che “quanto già accaduto in altri paesi, in Cile e Turchia, ma anche nel vicino Lazio, già coinvolti in questo progetto, deve sollecitare la nostra attenzione e concentrarla sugli effetti che avrà sulla salute e sull’ambiente.”
Slow Food ha contribuito alla nascita del Distretto Rurale del Valdarno, per una progettualità e una visione di una produzione locale “buona, pulita e giusta”. L’adozione, in questa area, di pratiche mono-colturali di varietà non locali di un prodotto che ha solo un piccolo e occasionale spazio nella piramide alimentare (non la frutta secca, ma il prodotto cui è destinato), a detta di Slow Food, “vanificherebbe il lavoro svolto in tanti anni, il lavoro di cittadini, volontari, produttori e amministrazioni locali e regionali, che hanno, fino a oggi, condiviso una visione comune, impiegando cospicue risorse umane ed economiche per il raggiungimento di ben altri obiettivi.”
A livello regionale e nazionale, Slow Food sta lavorando per “la sostenibilità alimentare, affinché la filiera del cibo si compia per lo più a scala locale, e questo si fa valorizzando la rete delle piccole imprese agricole, sostenendole, con la distribuzione locale nei mercati contadini, partecipando ai tavoli dove si progettano le politiche alimentari locali, tra cui convenzioni con le mense che prevedano l’impiego di prodotti locali. Prodotti fondamentali per la sostenibilità e sicurezza alimentare locale, oltre che per la salute di uomini e ambiente, non destinati al mercato internazionale. Cibo per la comunità, non merce per il mercato.”
L’appoggio ai produttori del Valdarno, in questo contesto, “è necessario. Ribadiamo, in questa occasione, come sempre, la nostra avversione all’agricoltura industriale che sta dimostrando, in tutto il pianeta, di essere causa e non effetto della crisi climatica e sociale, il nostro no alle monocolture, siano di noccioli o di altre varietà alimentari, all’utilizzo di pesticidi di comprovata nocività che si portano dietro, e il nostro sostegno alle economie locali, in particolar modo alle filiere alimentari, mai come oggi importanti per le comunità locali e per il pianeta.
Oggi – conclude Slow Food – ci uniamo alla condotta del Valdarno e ai produttori, nel chiedere spiegazioni alle amministrazioni locali che hanno supportato questa iniziativa, ricordando che i Comuni dell’area che aderiscono al distretto rurale del Valdarno hanno scelto un modello di governo del territorio ben lontano da quanto proposto. Chiediamo, inoltre, in quale modo l’introduzione di colture intensive di cultivar non locali e interamente destinate all’industria e al consumo esterno, può contribuire a “favorire i processi di organizzazione di relazioni di mercato più equilibrate, potenziare la filiera e, quali effetti conseguenti, consolidare la stabilità economica e occupazionale del distretto, apportando vantaggi anzitutto di carattere ambientale al territorio” (legge regionale 17/2017- nuova disciplina dei distretti rurali).