âDue anni di smart working. Lâesperienza delle donne in Toscanaâ, curata da Sandra Burchi per Ires Toscana e presentata a Firenze alla sede toscana della Cgil, alla presenza della segretaria generale della Cgil Toscana Dalida Angelini, del presidente di Ires Gianfranco Francese e della responsabile del Coordinamento Donne Cgil Toscana Barbara Orlandi
Isolamento, alienazione, legami troppo virtuali, intensificazione del lavoro. Ă quanto emerge dalla ricerca âDue anni di smart working. Lâesperienza delle donne in Toscanaâ, curata da Sandra Burchi per Ires Toscana. La ricerca è stata fatta in due parti, tra luglio e ottobre 2020 (60 donne coinvolte) e tra dicembre 2021 e marzo 2022 con le interviste di follow up alle partecipanti ai focus group della prima parte.
Tra i rischi, è stato spiegato, sono da dividere due settori, quello del lavoro e a casa: a causa dello smart working sul lavoro si registra una âminore socialitĂ , minore cooperazione, minore capacitĂ nei processi organizzativiâ, il fenomeno della âfatica da zoomâ, ovvero di essere sempre connessi nella piattaforma necessaria per le call. Nella ricerca si evidenzia anche âlâincremento dei dispositivi di controllo e la difficoltĂ nel rispetto e definizione dei tempi reali di lavoroâ. A casa câè il rischio âdi una conciliazione semplificata, dal lavoro di cura alla cura del lavoroâ.
La Cgil mette in luce anche alcune opportunitĂ dallo smart working come âfacilitare lâadozione di orari e modelli di lavoro individualizzati che includono il concetto di fasce orarie, raggiungimento degli obiettivi e riduzione degli spostamentiâ. âLo smart working si può fare ma non deve servire per annullare le postazioni lavorative â ha detto Angelini -. Lo smart working poi deve essere contrattualizzato e va disciplinato un orario di lavoro, altrimenti non si stacca mai. Câè poi il tema della sicurezza: allâinterno delle abitazioni non tutti sono in grado di avere lo spazio giusto per lavorare, dipende anche dalla situazione familiare in cui sei, ad esempio se hai figli. Come sindacato non ci opponiamo ai cambiamenti però questi vanno governati e contrattati. Secondo noi non è possibile essere sempre in smart working: ci dovrebbe essere una formula ibrida e questa deve essere su base volontaria, non obbligatoriaâ.
Di seguito le conclusioni cui è giunta la ricerca sullo smart working
Portato a casa il lavoro trova unâorganizzazione interstiziale, fra le stanze di casa e i tempi di vita. Durante la pandemia le stanze delle case si sono attrezzate per diventare spazi di lavoro, il risparmio di tempo e di economie sperimentato con la riduzione degli spostamenti casa-lavoro si sono tradotti in unâorganizzazione in divenire, sempre imperfetta, per far quadrare i tempi, per tenere in equilibrio produttivitĂ lavorativa e vita quotidiana. Unâorganizzazione, diventata carico individuale, che conta su unâefficacia da rendicontare a distanza, attraverso sistemi di controllo telematici.
Quella che è in campo â non detta, passata sotto silenzio dalla â è unâorganizzazione del lavoro che si prevede possa reggere grazie alla facilitĂ di interazioni tecnologiche ma conta, soprattutto, sulla capacitĂ individuale di incorporare â letteralmente â operativitĂ e produttivitĂ . Eâ un pezzo di lavoro che sparisce e che âresta in testaâ. Portati in remoto compiti e mansioni cambiano identitĂ , si adattano a un lavoro che si può fare in solitudine, poco mediato dalla cooperazione in presenza con i colleghi, molto condizionato dallâuso intensivo delle tecnologie, utilizzate non solo per comunicare ma per tenere traccia del lavoro fatto, inviare i feed back richiesti da dirigenti e responsabili, rispondere al patto di fiducia/controllo che regge lâagilitĂ del lavoro. Non solo il tempo di lavoro, il tempo complessivo ha cambiato di segno portando tutte e tutti a una interiorizzazione di compiti e scadenze che vanno in varie direzioni. La rivoluzione che sgancia lâorganizzazione del lavoro dalle misure ordinarie di tempo e spazio per ricalibrarle su task e obiettivi non si è realizzata pienamente: per molte si è trattato di un semplice trasferimento a casa del lavoro. La possibilitĂ di avere giornate di lavoro a distanza continua a essere un obiettivo per molte, può liberare un potenziale inespresso, anche organizzativo, costituire un guadagno proprio in termini di autonomia, rispondere alla necessitĂ di tempi di lavoro individualizzati (da tempo circolanti nella societĂ , individuati dal dispositivo della conciliazione). Alcune delle partecipanti alla ricerca stanno sperimentando questa modalitĂ di lavoro, di cui misurano lâefficacia, altre sperimentano situazioni piĂš ambigue: passaggi forzati al telelavoro, uno smart working semplificato per lâintero orario di lavoro, rinnovato fino alla fine dello stato dâemergenza, spesso con semplici comunicazioni. Questa organizzazione individualizzata ha degli effetti disciplinanti (Foucault): a) la progressiva trasformazione del lavoro in prestazione b) lâassorbimento della norma a âsaper fare tutto da soliâ c) lâindebolimento dei legami cooperativo-sindacali. Smaterializzato, digitalizzato, eseguito a distanza, lontano dalle strutture fisiche che contribuiscono a dare forma al tempo e alla complessitĂ delle interazioni necessarie per raggiungere gli âobiettiviâ, il lavoro agile, accentuando i caratteri individuali della prestazione, invisibilizza lo sforzo necessario a impostare routine organizzative efficaci e le ridisegna come sfide individuali completamente affidate alla capacitĂ dei singoli di essere allâaltezza del raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il rischio di una intensificazione dello sfruttamento (e dellâauto sfruttamento) si confonde con la sfida di raggiungere in autonomia una buona organizzazione del lavoro e del tempo. Durante le interviste abbiamo ascoltato molte lavoratrici, anche le piĂš entusiaste di sperimentare questa modalitĂ di lavoro, assumersi la responsabilitĂ della percezione di una maggiore fatica : âforse sono ioâŚâ. Fra le righe di questa ingiunzione a una autogestione/autonomia/efficienza abbiamo letto e trovato le forme iniziali di qualche sovversione: un riorganizzarsi per squadre e team di lavoro, condividendo gli obiettivi piuttosto che rimanere singolarmente responsabili, lâintuizione di nuovi modi di contrattare che individuano nelle filiere dellâonline bisogni e richieste che accomunano lavoratori e lavoratrici distanti nello spazio. Tentativi di rallentare i processi di individualizzazione che si inseriscono nel solco di una interiorizzazione crescente delle dinamiche produttive.
Câè poi il problema del lavorare a/da casa.
Il lavorare da/a casa è allâincrocio fra vecchio e nuovo, fra condizioni rischiose e marginalizzanti e possibilitĂ innovative (ma sempre da saper gestire).
Quando lo spazio di lavoro è la casa, una parte dello spazio di casa, le cose cambiano. Per quanto immerse nei processi di mediatizzazione estesa, le case contemporanee non hanno disperso del tutto (per ora) nĂŠ il loro significato simbolico, il loro promettere radicamento, senso di sĂŠ, protezione e nĂŠ il loro peso normativo, nellâassegnare ruoli e funzioni ai loro abitanti. Oggi le case sono ambienti ibridi, molto segnati dalle tecnologie della comunicazione, piĂš che ambienti protetti e privati, sono nodi di una rete interconnessa. Eppure il rapporto fra il sĂŠ e la casa mantiene una sua specificitĂ con cui lâirruzione del lavoro deve fare i conti. Trasformare lo spazio di casa in spazio di lavoro entra fra le routine organizzative di queste lavoratrici , e vi entra come possibilitĂ e come resistenza, come adattamento e come fatica. Sappiamo che il tema della non condivisione fra i generi del lavoro domestico e di cura è un dato costante delle ricerche. Le ricerche degli ultimi due anni sullo stare a casa hanno molto insistito su questo dato ma guardate nel dettaglio di unâindagine che funziona in soggettiva le sono meno compatte di come si raccontano.