Scene dal Chissàdove, con la regia di Roberto Bacci che cura la drammaturgia insieme a Stefano Geraci e con l’interpretazione di Giovanna Daddi e Dario Marconcini. Lo spettacolo prende spunto dai ricordi di Marconcini e Daddi, coppia nella vita, nell’intimità delle mura domestiche, così come nell’arte: un’esistenza insieme dedicata a una passione vera, il teatro.
La nuova produzione della Fondazione Teatro della Toscana “Quasi una Vita” è un lavoro che parte dal sodalizio storico e artistico con Giovanna Daddi e Dario Marconcini, che affonda le radici negli anni ‘70, quando facevano parte di un piccolo gruppo di dilettanti temerari e visionari, ispirati dal Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina.
Dario Marconcini, insieme a Roberto Bacci, ha fondato il Teatro di Pontedera e ha contribuito a rendere Pontedera una capitale periferica della cultura, pensata in grande, fatta di legami veri, primo fra tutti con l’Odin Teatret e poi con Jerzy Grotowski.
Raccogliendo le parole della vita di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, Stefano Geraci e Roberto Bacci hanno costruito uno scenario altro: sfuggendo al fascino della biografia, ci appaiono in scena pronti per la definitiva partenza per il Chissàdove, circondati dalla presenza di Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini.
Roberto Bacci passa dall’individuale all’universale e si interroga su ciò che resta di noi dopo la nostra dipartita, sul senso dell’attraversare l’ultima porta che resta nascosta oltre la quale ci attende un incerto viaggio nel Chissàdove. “Quasi una Vita” è immaginare, con e grazie al teatro, di poter convivere per qualche minuto, sulla scena, con chi ci precede nel viaggio.
Scrive Roberto Bacci: «Questa opera è una menzogna. Perché la vita, malgrado i nostri sforzi e la buona volontà, è una menzogna a cui non sappiamo o possiamo opporre una verità. Dopo mesi di domande e di confessioni raccolte dalla vita di Dario e Giovanna, abbiamo tentato di osservare, attraverso il riflesso della loro esistenza, noi stessi.
Il risultato è l’opera: “Quasi una vita”.
Dario e Giovanna si sono offerti, come amici e come colleghi per guidarci in questo viaggio che è una riflessione sull’amore, il teatro, la malattia, la vecchiaia e l’attesa della definitiva partenza per il Chissàdove. Tradurre un bagaglio così ricco e pesante per renderlo in teatro è stato un insegnamento su come la scena può essere “filosofia in atti”.
“Quasi una Vita” è un titolo che richiama una mancanza di pienezza perché una pienezza è impossibile senza la consapevolezza di un senso e di un significato. Eppure in questa mancanza di pienezza, in questo “quasi” che tutti avvertiamo si nasconde un senso, un mistero da ricercare e svelare. Ed è la ricerca di questo mistero che ci rende vivi.
Qualcuno ha detto: “Ho trascorso tutta la mia esistenza in compagnia di qualcuno che non conoscevo”.
Risvegliare questo qualcuno, incontrarlo, interrogarlo, diventarne finalmente amico è uno dei compiti del teatro in cui mi riconosco. Così accade nelle prove, così può accadere sulla scena quando incontriamo lo spettatore».
Stefano Geraci afferma: «Se fosse stato cinema, questo spettacolo si sarebbe potuto ascrivere al genere biopic, quella fiction che si fonda su biografie reali, oggi di nuovo in voga e in alcuni casi con esiti molto suggestivi. La preparazione, almeno, è stata analoga. Abbiamo raccolto e registrato i racconti biografici di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, attori e amici di lunga data con una intensa storia di teatro e vita in comune lunga quasi sessant’anni: il motivo di questa scelta non è stato però quella di raccontare le loro vite, ma di attraversarle insieme. Avevamo alcune domande con noi.
Cosa resta delle nostre vite quando ci volgiamo indietro e ci chiediamo: cosa abbiamo combinato? E il teatro ci concede un tempo per intravedere un disegno nei passi che abbiamo compiuto e che casomai abbiamo calpestato maldestramente senza neanche accorgercene? Forse la parola più adatta per descrivere questo lavoro è “congedo”, così come si usa nella poesia in forma di canzone: quei versi finali in cui l’autore rivolgendosi a se stesso chiede ai lettori di farsi carico dell’ombra del poeta, attraverso la vita dei suoi versi.
Lo spettacolo teatrale però non può fissare per sempre il momento del commiato. La sua virtù è altrove: creare una forma fatta apposta per sparire, ogni sera, di fronte agli spettatori. Se va bene, saranno loro a far viaggiare quel che resta di una esistenza nella loro memoria, e se un disegno esisteva, saranno gli spettatori a scoprirlo perché avrà provocato un’eco, una assenza, un’intima complicità con le loro vite.
Le scene di “Quasi una Vita” raccolgono e compongono gesti e parole dispersi in una storia d’amore, nel presentarsi della vecchiaia, nell’incerto confine che separa la malattia dalla salute, in abitudini e memorie teatrali che scavano i corpi ma che illuminano il passare del tempo con l’intensità di chi ancora ha il coraggio e l’incoscienza di voler debuttare nella vita.
Quando raccoglievamo i racconti che avrebbero fornito le tracce dello spettacolo e del compito degli attori che li avrebbero accompagnati sulla scena, Dario e Giovanna hanno chiesto a noi, intrufolati nelle loro vite mentre con generosa cautela ce le affidavano, se molte storie o storielle in cui vita e teatro erano inestricabilmente impastate fossero superflue o addirittura ridicole. Forse sì.
Ma forse il teatro è sempre ad un passo dal ridicolo. Perché la dedizione di una vita non sembra valerne la pena, perché pretende di muovere ombre troppo più grandi delle mani che ha a disposizione, perché agisce “come se” potesse trasformare la realtà: fino a quando può capitare che, per vie impreviste, ci commuove perché per un attimo, in un fuggevole frammento, è arrivato alla verità».
Dario Marconcini e Giovanna Daddi dichiarano: «Un attore nell’incarnare un personaggio, quale che sia, Prospero o Rogozin, Medea o Antigone, mette sempre qualcosa di sé; ma in questo testo non esiste nessun filtro protettore: non c’è il personaggio dentro il quale nascondersi. Parliamo di noi stessi, siamo chiamati col nostro nome, siamo lì sulla scena in prima persona, indifesi, ci confessiamo, mettiamo a nudo episodi della nostra vita fatta di ricordi familiari, di viaggi di pièce di teatro, con il pericolo di essere esibiti come l’orso davanti a Topkapi. Eppure questo non è un autodafé né una seduta psicanalitica. È invece come il ritorno a casa, ritroviamo con gioia, dopo tante esperienze teatrali lontane, Roberto e Pontedera, è come se il cerchio si ricomponesse. Il rimosso della nostra vita è però lo spunto per portarci in altri territori ben più pericolosi e misteriosi oltre a farci toccare con pudore, rabbia e timore il senso degli anni che passano e l’enigma dell’ignoto che ci aspetta.
In questo viaggio quasi iniziatico ci accompagnano con generosità quattro attori amici pronti a suscitare e a sostenere le diverse tappe.
Dobbiamo ringraziare Roberto e Stefano che con pazienza, nei lunghi incontri a casa nostra, sono riusciti, facendoci ritrovare oggetti dimenticati, foto, testi, a ricomporre il nostro patrimonio dell’anima, prima che esso andasse a perdersi.
Affrontiamo “Quasi una Vita” come un viaggio nel passato e nel futuro, o meglio come un viaggio nel corso del tempo».